Una scopa di saggina elaborata e nasce l’epopea del Broomball Belluno
Giancarlo Zaghetto è fra i pionieri del Broomball Belluno: «Ci allenavamo dopo alle 23.30 perché il palaghiaccio costava»

. Un gruppo di amici, una scopa di saggina, la voglia di stare insieme e divertirsi. È nato così il Broomball a Belluno: siamo nel 1981 e Giancarlo Zaghetto con alcuni compagni di vita e di scorribande fonda la prima storica squadra di “palla-scopa” della provincia.
Entrando nel locale di uno dei pionieri bellunesi di questo sport, si apre un mondo di ricordi. Fra le coppe e i premi conquistati negli anni si vedono tante fotografie e un calendario un po’ osé, con i gialloblù ritratti quasi senza veli ma per una buona causa: «L’abbiamo realizzato nel 2000 e l’intero ricavato è stato devoluto ai genitori di una bambina affetta da una malattia rara», spiega Zaghetto.

Finale del campionato di Broomball. Il Belluno is aggiudica lo scudetto
Quando hai sentito per la prima volta parlare del Broomball e come ti è venuta in mente questa pazza idea di formare una squadra?
«Avevo letto un articolo che parlava di un gioco chiamato “scopone su ghiaccio” e di un torneo a Podenzoi. Io e alcuni amici ci siamo incuriositi e senza neanche sapere di cosa si trattasse ci siamo iscritti e siamo andati a provare. Da lì è partita la nostra avventura. All’inizio giocavamo su una pista di ghiaccio di dimensioni ridotte con le scope di saggina».
Le scope di saggina, come quelle di una volta?
(Ride) «Sì, proprio quelle, venivano tagliate e modificate per utilizzarle come una stecca da hockey. Anche il nostro equipaggiamento sportivo era fai da te: utilizzavamo le scarpe normali e protezioni in gomma piuma indispensabili a proteggere i nostri posti più sensibili».

Avevate mai giocato ad hockey? Come funziona il Broomball?
«Assolutamente no e non avevamo la benché minima idea di come funzionasse. Il Broomball è nato in Canada a fine ’800 da un’idea delle mogli dei giocatori di hockey canadesi. Si dice che si fossero stufate di fare da spettatrici ai mariti e cominciarono a giocare con le scope sui laghi ghiacciati. Il gioco ha le stesse regole dell’hockey, cinque giocatori di movimento più il portiere, si possono usare mani e piedi ma il gol si segna solo con la stecca, una scopa di saggina evoluta. Sul ghiaccio si scivola con delle scarpe apposite e non con i pattini, i tempi di gioco sono due da venti minuti effettivi», spiega Alberto Canei, uno dei pilastri della squadra gialloblù.
Scopone su ghiaccio e poi Broomball: com’è nata la squadra?
«Durante le Universiadi nel 1985 abbiamo conosciuto un ragazzo di Auronzo che giocava a Merano. Ci ha spiegato il funzionamento del gioco e mostrato l’attrezzatura. Tramite Quinto Piol ci siamo messi in contatto con la Sportivi Ghiaccio Belluno che gestiva il palaghiaccio e ci siamo associati a loro».
I costi e gli allenamenti erano però proibitivi.
«Il ghiaccio di Lambioi costava un milione di lire al giorno ed eravamo costretti ad allenarci alle 23.30 dopo le squadre di hockey; un orario quasi improponibile ma avevamo un accordo con un locale che ci aspettava anche a notte fonda per mangiare», spiega Zaghetto. «Nel 1994 viene costituito ufficialmente il Broomball Club Belluno. In quell’occasione il notaio fece più festa di noi: dopo aver ratificato lo statuto della società si autonominò presidente onorario e decise di festeggiare con noi all’Enoteca Mazzini».
A proposito di festa...
«Abbiamo passato tanti bei momenti assieme e le occasioni goliardiche non sono mancate. Ricordo il torneo di tennis misto: i maschi superavano nettamente le donne nelle iscrizioni e quindi in più di un’occasione qualcuno si è dovuto sacrificare affinando le proprie doti di trasformismo (ride)».

Per un decennio il Belluno ha avuto anche la sua quota rosa. Com’è nata la squadra femminile?
«Ci siamo iscritte al primo campionato nel 1996», spiega Ilenia Burigo, storico capitano della squadra femminile gialloblù. «Non abbiamo ottenuto grandi risultati, vincevamo spesso la coppa disciplina e ci divertivamo da matti, peccato che i maschietti non fossero così contenti della nostra presenza agli allenamenti», sorride. «Le pareti del palaghiaccio stanno ancora tremando», interviene Zaghetto, «tu e la tua amica mi avete fatto perdere la voce quella volta. Una delle ragazze ci stava mettendo una vita a prepararsi per l’allenamento; quando si è presentata in campo truccata di tutto punto e con un foulard intorno al collo non ci ho più visto».
Il futuro del Broomball a Belluno?
«Oggi è sempre più difficile trovare strutture adeguate, il massimo sarebbe avere un palazzetto qui. Ci siamo allenati ovunque: a Claut, Alleghe, Zoldo, Auronzo, nel campetto sintetico di Sedico, a Podenzoi, quest’anno ci alleniamo a Tai di Cadore. Ma i costi sono esorbitanti. L’unica soluzione che abbiamo trovato è l’autofinanziamento», commenta Zaghetto.
Le Casette del brulè?
«Esattamente ma non solo. Abbiamo organizzato feste e tornei amatoriali, le 24 ore, capodanni e carnevali; nel 2006 il Torneo Topolino con i bambini, i mercatini di Natale e non ultime le casette del brulè che ci permettono di autofinanziarci e di provare a reclutare qualche nuova leva».
Nonostante le difficoltà un certo appeal questo sport deve averlo. Il palmares della squadra gialloblù lo dimostra ed è di tutto rispetto: tre scudetti, nel 1998, 2012 e 2015, una Coppa Italia nel double del 2012.
«Ci tengo a sottolineare la presenza in squadra nel 2015 di tre ragazzi africani; non parlavano la nostra lingua ed è stato un bell’esempio di sport e integrazione sociale. Una menzione speciale va al nostro mister Milos Kupec. Ex giocatore e capitano della nazionale di hockey della Repubblica Ceca, è un vero professionista e ci dà una grande mano».
Il 3-4 gennaio in piazza Duomo a Belluno si potrà provare questo sport e ci sarà una dimostrazione 3 contro 3 aperta a tutti.
«“Berremo una bira” è lo slogan che campeggia nel cartellone ideato dai supporters gialloblù. Il significato richiama lo spirito di questo gruppo: in campo si dà tutto, ma a fine partita, che si vinca o che si perda, è bello ritrovarsi per stare assieme». —
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