Paralimpiadi, Marta Da Pra: «Solo l’Italia non mi vuole»

La cadorina è polemica. «Esclusa per due anni di troppo, dopo aver gareggiato a mie spese»

LOZZO DI CADORE. Sedotta e abbandonata. Il sogno della sua prima, e forse unica, paralimpiade accarezzato e poi svanito per un motivo difficile da comprendere.

Marta Da Pra parla in maniera serena, ma dentro di sé avrebbe un vulcano pronto ad esplodere. Perché lei, in Corea, sarebbe dovuta esserci. Sarebbe stata la seconda atleta bellunese ai Giochi Paralimpici. Già, sarebbe. Ma la Da Pra ha una colpa. Quale? Quella di avere 41 anni. E di essere di ben due anni (!) fuori da un limite deciso da un accordo tra federazione sciistica paralimpica e il comitato paralimpico italiano. Le zero medaglie di Sochi, nel 2014, hanno fatto sì che partisse una politica di “ringiovanimento” della squadra azzurra. E poco importa se di atleti ce ne sono pochi, tanto da non aver riempito tutte le caselle disponibili. La Da Pra dovrà rimanere a casa.

«E pensare che solo un anno fa la Fisip mi aveva contattato per entrare in questo mondo. Visite superate ed eccomi pronta a diventare una paratleta. Subito dopo ero in Ucraina per la prima gara di Coppa del Mondo, con trasferta a mie spese. Sono arrivata ultima, ma senza allenamento. Dopo di che, più sentito nessuno. Mi sono messa a scavare e, tra le varie cose che ho scoperto, c’era questo accordo tra Fisip e Cip del limite dei 39 anni. Altrimenti avrei potuto rappresentare il mio Paese solo garantendo la conquista di medaglie. Me lo avessero detto ben prima di fare visite e di andare in Ucraina con i miei soldi… Invece nulla, e alle ultime gare di Coppa del Mondo in Canada, Germania e Finlandia ho partecipato come atleta indipendente e in tutte e tre mi sono qualificata. Mi sarebbe piaciuto andare ai Giochi sotto la bandiera olimpica, ma non è possibile».

Oltre il danno, la beffa.

«Cinque nazioni mi hanno cercata per avermi nella loro rosa. E fortunatamente sono stata stimata e aiutata da tutti durante le traferte, tanto che sono stata "adottata" dalla Corea del Sud che ha provveduto alla preparazione degli sci come fossi una di loro, senza pretendere nulla in cambio. Ma nulla, il mio passaporto non consente di gareggiare con nessun altra formazione. Solo con l’Italia, che non mi vuole».

Una brutta sensazione, senza dubbio.

«Ad ogni modo guardo avanti con il sorriso ed invito tutti a sintonizzarsi sui Giochi. C’è tanto da imparare, e poco importa se non ci sarò. Certo, a me dispiace tanto non esserci ma poco importa: la mia battaglia della vita l'ho già vinta». (dapo)

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