Giazzon, giramondo del calcio con nel cuore il Belluno della C2

Gianluca Da Poian / BELLUNO
Bellunese con il Belluno nei professionisti. Non ce ne erano stati molti, in quella doppia annata di C2 tra il 2003 e il 2005. Ma in Marco Giazzon i dirigenti gialloblù avevano creduto eccome. Andarono a prenderlo dalla Feltrese in Eccellenza, quando la carta d’identità segnava 27 anni.
Eppure “Giaz” si è tolto diverse soddisfazioni quell’anno. Qualche gol tra campionato e coppa, un bel po’ di presenze e la salvezza ottenuta ufficialmente in trasferta a Meda, dopo un girone di ritorno strepitoso. Tutto pronto per la riconferma dunque? No e ancora oggi, Giazzon fatica a spiegarsi la motivazione alla base del mancato rinnovo.
Ma il suo l’ha fatto eccome anche negli anni seguenti. Cornuda, Liapiave, Feltrese e Plavis le tappe seguenti di un percorso vissuto sempre al massimo, qualsiasi fosse la categoria. Ora guida il vivaio della Plavis Pizzocco, dopo un paio di subentri in prima squadra in Promozione e Prima.
Però partiamo dalla C2 a Belluno. In una rosa composta da ragazzi rimasti poi a lungo nel professionismo, ha avuto modo di dimostrare chi fosse Marco Giazzon.
«Di quell’annata ricordo ogni particolare, anche il meteo di ogni allenamento. Non capita a tutti l’occasione di giocare nei professionisti con la maglia della tua città. Dalla prima chiamata in avanti, fu come vivere un sogno. E nonostante lavorassi comunque part – time, davo il cento per cento sempre, ogni giorno».
Come nacque l’opportunità?
«Giocavo alla Feltrese e una persona per conto del Belluno mi chiese se fossi interessato a parlare assieme alla dirigenza. Non so chi fece il mio nome, in fondo ero una scommessa. Andò però bene, dal punto di vista personale e di squadra».
In effetti, pagato lo scotto iniziale, disputaste uno splendido girone di ritorno.
«Totalizzammo 26 punti, concludendo virtualmente terzi la classifica relativa alla seconda parte di stagione. Stadi storici espugnati, un turno in Coppa passato. Nonostante fosse una neopromossa, quel Belluno seppe dimostrare di poter dire la sua in C2».
Il più grande cambiamento tra dilettantismo e professionismo?
«La necessità di dover fare un salto in avanti a livello mentale e tecnico. Uno dei primi esercizi di riscaldamento svolti con il professore Modesto Bonan lo terminai con i crampi. Serviva essere essenziali e veloci, puntando tutto sul gioco di squadra. Essendo terzino, di solito l’abitudine mi vedeva puntare l’avversario, andare sul fondo e crossare in mezzo. Cosa concessa poco in C2. Occorreva giocare di squadra, far girare la palla e così via».
I compagni più forti?
«Le qualità di Eros Schiavon erano innegabili. Penso poi anche a Marco Girardi, Nicola Lonzar, Andrea Merenda, Alberto Giuliatto, Andrea Intrabartolo fin quando è rimasto con noi, Matteo Scapini. Non scordo lo sfortunato Kenneth Zeigbo, il cui impatto avrebbe potuto essere clamoroso».
Come mai lei non venne riconfermato?
«Vallo a capire. Ancora adesso non lo so. Certo, qualcuno addirittura definì me ed altri come dei “mercenari”. Diverse persone avrebbero voluto rimanessi lì, compresi i tifosi perché ero uno dei giocatori del posto. In fondo male non avevo fatto, tanto più che a gennaio io, Giuliatto e Tomasig eravamo seguiti da Carlo Osti, allora direttore sportivo del Treviso in serie B. Non se ne fece nulla, ma fu comunque una notevole gratificazione».
E la Feltrese? Una maglia indossata a lungo.
«Dieci anni. Al di là delle vicissitudini finali, direi che lo Zugni Tauro ha rappresentato a lungo casa mia».
Ora c’è l’Union Feltre.
«La fusione ritengo sia stato un passo importante e necessario per tutto l’ambiente. Chiaro, non è la storica Feltrese, ma mi è piaciuta la positiva evoluzione del progetto. Con tanto di serie C sfiorata un anno fa».
Per concludere la carriera, va a giocare a pochi passi da casa.
«Alla Plavis, tramite i playoff, saliamo in Promozione e ci salviamo l’anno dopo, vincendo la penultima di campionato con i gol di Tormen e del “Mago” Herrera. Tra l’altro pensavo di ritirarmi al termine di quel campionato, invece l’anno successivo torno in corsa… anche come allenatore».
E per poco non avvenne il miracolo.
«Condannati dopo il doppio pareggio nel turno playout, dopo aver tra l’altro vinto lo spareggio a Longarone contro il Fregona per non retrocedere direttamente. Da spacciati, stavamo comunque per farcela. L’anno dopo subentro invece a Mauro Fin e, al termine di una stagione complicatissima, restiamo in Prima Categoria sempre ai playout».
Sino al “nuovo inizio” nel settore giovanile.
«Una scelta logistica, in quanto desideravo dedicare la domenica a mio figlio Tommaso. Ma le soddisfazioni me le sto togliendo eccome».
A proposito, figure di riferimento nel ruolo?
«Roberto Pavan nel settore giovanile mi ha insegnato molto. Dico poi l’innovatore Nelso Ridolfo, Morandin del Liapiave, Marco Marchetti, Toni Tormen ed Alessandro Ferro».
Ultima cosa, ha giocato in diversi ruoli…
«Mi sono divertito moltissimo da centravanti, nei mesi alla Feltrese su intuizione di Marchetti. Tra l’altro con quattro o cinque gol segnati. Schiocchet mi ha schierato centrocampista davanti alla difesa. Mancava il ruolo di portiere, dove gioca ora Tommaso…». —
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