Razzismo alla «Salsa»: c’è un nuovo testimone per il capitano Bensellam

BELLUNO. Razzismo in caserma: c’è un nuovo testimone. Nel processo per diffamazione aggravata dall’odio razziale a carico del sergente maggiore capo Carmelo Lo Manto, il difensore di parte civile Massimiliano Strampelli ha chiesto e ottenuto dal Tribunale militare di Verona di poter sentire un altro commilitone dell’imputato e del suo assistito, l’allora capitano Karim Akalay Bensellam. Rinvio al 16 dicembre. Il collega si è fatto avanti di sua iniziativa, dopo aver letto l’ultimo articolo sul giornale ed è in grado di ricostruire quello che è successo alla Salsa, nel 7º Reggimento Alpini, tra la fine del 2014 e la metà del 2017: «Sto’ marocchino di m… gliela farò pagare in un modo o nell’altro. Non è degno di stare nell’Esercito italiano. Ha rubato un posto in Accademia a un italiano vero. Pezzo di m... sto’ meschino», sono alcune delle frasi che Lo Manto avrebbe rivolto al suo superiore, durante l’alzabandiera mattutino in piazza d’armi, gli allenamenti e le sedute di addestramento fatte in montagna.
Il teste non era stato sentito dalla Procura militare, durante le indagini preliminari, mentre Strampelli l’aveva ascoltato in sede di indagini difensive: «Magari non sarà quello decisivo, ma ci aiuterà senz’altro ad avere una ricostruzione ancora più puntuale della vicenda», spiega il legale romano, «confermerà che Lo Manto discriminava Bensellam. Il pubblico ministero si è associato alla mia richiesta e il tribunale ha rinviato a metà dicembre, quando ci saranno anche la discussione finale e la sentenza».
Era stata Elena Andreola per prima a confermare la tesi dell’accusa: «Durante l’alzabandiera, era consuetudine sentire Lo Manto apostrofare Bensellam. L’uomo non si curava per niente del fatto che erano in molti ad ascoltarlo». Mentre i testimoni della difesa ricordano poco o niente.
Nativo di Perugia, padre marocchino e madre italiana, Bensellam comandava la compagnia e da qualche tempo è ad Aosta, dove è stato promosso maggiore. —
G.S.
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