Longarone è rinata dov’era prima
L’architetto Palazzolo ha illustrato il valore del piano avviato dopo il 1963

LONGARONE. La ricostruzione di Longarone come laboratorio nazionale per la gestione del dopo emergenza. Gli aspetti tecnici e alcuni dati sono stati sviscerati dall'intervento da Carlo Palazzolo, docente al Politecnico di Milano. «Nel 1967, a soli quattro anni dal disastro», ha spiegato, «partiva la ricostruzione privata. Erano altri tempi e soprattutto l’area colpita aveva dimensioni ridotte, ma questo non sminuisce la forza dei superstiti. La grande novità per l’epoca, oggi quasi impensabile, era stata la presenza di un piano di ricostruzione affidato all'Università di Venezia, con urbanisti di grande competenze guidati dal rettore Giuseppe Samonà. Oggi, dopo le catastrofi, nessuno sa chi debba occuparsi di questo piano».
«Longarone è stato poi antesignano al modello Friuli», ha continuato Palazzolo, «con i cittadini che hanno preteso e anche lottato per far rimanere il paese dove era prima. Neanche l’esodo, in particolare con lo sfollamento di Erto e la creazione di nuove città come Vajont, ha fermato questa forte convinzione e il legame con il territorio».
Rimane oggi il problema del rapporto sociale, che prescinde dalla mera concezione razionale degli edifici. «È il caso dei celebri “bunker”, serie di abitazioni nella parte alta di Longarone, così soprannominate dagli stessi longaronesi. Esempio inverso è quello del cimitero di Muda Maè, a mio avviso autentico luogo dove si preservano i significati del paese prima del 1963, dove la natura è a contatto con i vecchi materiali. Rimane quindi il nodo della visione al futuro nelle azioni di ricostruzione che non prescinda dal passato, ma non ne sia prigioniera».
«Alla fine degli anni Ottanta», ha aggiunto l’architetto Renato Migotti, «il 90% del paese era stato ricostruito. Non è stato certo facile: abbiamo dovuto combattere contro le lentezze burocratiche, i ritardi dello Stato nel concedere finanziamenti, contro chi sosteneva che la colpa di tutto stava nella cattiveria della natura».
«Tutto questo è stato comunque superato grazie, in primo luogo, alla tanta solidarietà ricevuta da tutto il mondo, e al piano di investimenti speciali che ha permesso poi l’industrializzazione di tutta la provincia», ha concluso Migotti. Ma soprattutto è stata la forza e tenacia della gente di montagna che ha portato il paese a rinascere almeno dal punto di vista materiale. Oggi purtroppo manca il senso di comunità e per questo c’è ancora molto da fare».
Enrico De Col
Argomenti:vajont
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