Don Cassol, il cacciatore sarà processato

Il Tribunale di Bari ha respinto la richiesta di patteggiamento. L’accusa è di omicidio colposo e omissione di soccorso
Don Francesco Cassol, di Longarone (Belluno), in una recente foto, trovato ucciso oggi 22 agosto 2010 nelle campagne della Murgia. Il sacerdote era da circa 10 anni alla guida spirituale della comunita' di Longarone, la cui parrocchia si trova nella frazione di Fortogna. Secondo le prime informazioni, i Goum sono gruppi di fedeli laici che durante i periodi di vacanza svolgono settimane di cammino, preghiera e digiuno all'aria aperta, accompagnati da sacerdoti. Don Francesco aveva guidato altre volte altri raid come questo.. LUCA TURI/DC - Il parroco di Longarone don Francesco Cassol, vittima di una tragica fatalita'
Don Francesco Cassol, di Longarone (Belluno), in una recente foto, trovato ucciso oggi 22 agosto 2010 nelle campagne della Murgia. Il sacerdote era da circa 10 anni alla guida spirituale della comunita' di Longarone, la cui parrocchia si trova nella frazione di Fortogna. Secondo le prime informazioni, i Goum sono gruppi di fedeli laici che durante i periodi di vacanza svolgono settimane di cammino, preghiera e digiuno all'aria aperta, accompagnati da sacerdoti. Don Francesco aveva guidato altre volte altri raid come questo.. LUCA TURI/DC - Il parroco di Longarone don Francesco Cassol, vittima di una tragica fatalita'

BARI. Niente patteggiamento per Giovanni Ardino Converso, l’operaio 52enne di Altamura reo confesso dell’omicidio di don Francesco Cassol. Ieri il gup del Tribunale di Bari ha respinto la richiesta di patteggiamento del legale dell’uomo, l’avvocato Raffaele Padrone, e ha deciso di rinviare a giudizio l’operaio, accusato di omicidio colposo, omissione di soccorso e caccia di frodo

Il pubblico ministero si è opposto alla richiesta di patteggiamento presentata dal legale di Ardino, ritenendo la pena di un anno troppo lieve. Durante l’udienza si è anche appreso che l'imputato non potrà beneficiare della sospensione della pena, perché sarebbe già stato condannato in passato per alcuni reati minori.

La famiglia di don Francesco si è costituita in giudizio tramite gli avvocati Roberto Cociancich e Andrea Marini, del Foro di Milano. All'udienza si è anche costituito parte civile il Parco Nazionale dell'Alta Murgia tramite l'Avvocatura dello Stato, che ha chiesto il riconoscimento dei danni derivanti dal pregiudizio all'immagine del Parco per essere identificato come un luogo insicuro dove si pratica il bracconaggio. Non si è invece costituita parte civile la Diocesi.

Le parti civili si sono associate alla richiesta del pm di rinviare a giudizio l’uomo. La prima udienza è fissata per il 4 dicembre al Tribunale di Altamura.

Per i familiari di don Cassol ieri mattina a Bari c’era l’avvocato Cociancich, che spiega: «Va chiarito che la famiglia Cassol non nutre alcun pregiudizio né astio nei confronti della gente delle Murge, ma auspica solo che si faccia chiarezza sulla dinamica della vicenda».

È quello che si augura anche Marco Perale, amico di lunga data del prete ucciso nelle campagne della Murgia barese il 22 agosto del 2010, durante un raduno Goum: «Ci interessa solo che emerga la verità, anche se in ambito solo giudiziale», spiega.

Le ipotesi su quella notte sono tante, e ricostruire cosa accadde non sarà semplice. Don Francesco Cassol, allora parroco a Longarone, si trovava nella Murgia barese per un raduno di preghiera e digiuno Goum quando, nella notte del 22 agosto, fu ucciso con un colpo di fucile all’addome. Due giorni dopo il delitto Giovanni Ardino Converso confessò, dicendo di aver sparato perché pensava che la sagoma del prete fosse quella di un cinghiale. È questa la tesi difensiva dell’uomo, che verrà portata avanti dal suo legale nel processo.

Dall’inchiesta non sono emersi finora particolari che facciano pensare che Ardino non si trovasse da solo quella notte, nella Murgia. La tesi difensiva punta sull’errore: Ardino era lì per cacciare i cinghiali, e non si è accorto che stava sparando ad un essere umano. Inoltre, secondo l’avvocato Padrone, «nulla dava a pensare che fossero persone, perché non avevano montato una tenda, non c’era una luce».

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