Cioccolato artigianale con “Nina aps”: «Daremo lavoro a donne in difficoltà»

Bruno Selvestrel è la mente del progetto della neonata associazione: «Abbiamo individuato i locali a Castion, ora cerchiamo finanziamenti» 

BELLUNO. La rinascita dell’Amazzonia passa anche per le donne, la loro consapevolezza culturale e l’acquisizione di una capacità decisionale sulle proprie capacità di scelta. Da questo seme tutto bellunese è nata, a dicembre 2019, l’associazione Nina aps, che in kichwa (lingua indigena dell’Ecuador) significa “fuoco e fiamma”, ma è anche l’infinito dei verbi “raccontare”, “comunicare”. Un sodalizio che ha in mente di gettare il proprio seme anche a Belluno, per aiutare le donne in difficoltà.

Ce lo spiega Bruno Selvestrel, 28enne bellunese, ideatore e vicepresidente dell’associazione di respiro internazionale, il quale, grazie a una lunga e larga esperienza di volontariato all’estero ha capito che «le donne sono un valore aggiunto, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Il riconoscimento del loro ruolo può assumere un significato strategico nel rafforzamento delle politiche di inclusione socio-lavorativa».

Come e dove nasce Nina?

«Nasce a Roma alle porte del 2020 dopo aver svolto svariate esperienze all’estero e aver capito che l’empowerment femminile, oltre che la promozione di un’alimentazione sana, potevano determinare la svolta in Paesi dell’America latina, come dell’Africa o dell’Europa, soprattutto in quelle culture che non riconoscono ancora il ruolo della donna come strategico per lo sviluppo di una società moderna. In molte comunità le donne vengono molto spesso lasciate ai margini e non possono esprimersi come dovrebbero, anche se dal nostro punto di vista hanno una marcia in più. Garantire il loro sviluppo è il tramite con cui creare situazioni di miglior benessere familiare, perché loro sono il vero motore trainante, soprattutto in quei contesti».

Qual è stato il vostro primo progetto?

«Avevamo molte idee in cantiere, poi con la pandemia ci siamo dovuti riorganizzare. Abbiamo quindi lanciato una campagna mirata, intitolata “Mettici la mascherina”, con cui abbiamo coinvolto con l’associazione AsotexChambi alcune donne, sarte indigene di Chambira in Ecuador, che hanno iniziato a cucire mascherine per una ventina di comunità autoctone al posto delle divise scolastiche. Nella prima parte del progetto siamo riusciti a garantire 1.200 mascherine a 600 persone di due comunità indigene, nella seconda ben 1.730 date a 430 famiglie di 18 comunità. Il progetto è stato anche sostenuto dal ministero ecuadoriano».

Altri progetti all’estero?

«Stiamo lavorando per diffondere la cultura di un’alimentazione e autoproduzione sana tra le famiglie indigene della regione del Napo, nell’Amazzonia ecuadoriana. Vorremmo creare un sistema di produzione sostenibile che da un lato favorisca la conservazione della biodiversità della selva, dall’altra contrasti i problemi di malnutrizione delle popolazioni Kichwa».

C’è anche un progetto quasi tutto bellunese...

«Siamo consapevoli che anche a Belluno, come in Italia, ci sono molte donne che hanno bisogno di essere aiutate. Il nostro sguardo si è poggiato in particolare su quelle vittime di violenza, così assieme all’associazione Belluno-Donna stiamo cercando di aprire una cioccolateria, grazie anche alla disponibilità della mastro cioccolatiera e chocolate taster Simona Carbone. L’obiettivo è fondare una cooperativa sociale dove poter produrre cioccolato artigianale attraverso la produzione “from bean to bar” (dalla fava alla barretta). La cioccolateria si chiamerà “Nina kawaw” e darà lavoro almeno a sei donne vulnerabili, più altre 15 per ricavare cosmetici dagli scarti della lavorazione del cacao. Abbiamo già trovato i locali a Castion, siamo però ancora alla ricerca di finanziamenti. Il sogno sarebbe permettere a queste donne di lavorare il frutto equosolidale raccolto in Venezuela, così da poter dare lavoro anche alle indigene di là».

Ma Nina Kakaw non sarà solo una cioccolateria,,,

«Come la gelateria è un lavoro stagionale: da qui è nata l’idea di creare una cooperativa a spreco zero usando gli scarti di produzione, ovvero le bucce del cacao che vengono buttate dopo la tostatura delle fave, per creare saponi e cosmesi naturale con base d’olio o burro di cacao. O ancora, tostando le fave si può creare una granella utilizzabile anche in pasticceria, o nei saponi per fare degli scrubs naturali. Questo tipo di attività si potrebbe fare durante l’estate e ci permetterebbe di mettere in piedi un’attività annuale. Abbiamo scelto di partire da Belluno perché, essendo una città di montagna, il consumo di cioccolato è notoriamente maggiore. Con l’arrivo delle Olimpiadi nel 2026, poi, puntiamo a diventare un prodotto di nicchia e di punta, cogliendo l’occasione di prospettiva di farci conoscere».

Sogni nel cassetto?

«Vorremmo dare anche alle bellunesi fragili le competenze utili per poter ritrovare l’autonomia perduta, trovando i finanziamenti che adesso ci mancano per avviare questo laboratorio. Avevamo partecipato al progetto "Match up", un'iniziativa di Bellunolanotte in collaborazione con il Csv Belluno e Confindustria Belluno per far incontrare gli interessi degli enti del terzo settore con i finanziatori privati e il nostro progetto sarebbe stato l’ideale, purtroppo però dopo una prima fase conoscitiva non si sono mossi passi ulteriori». —


 

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi