Cinque comunità per don Fabiano «Alla domenica ho quattro messe»

Ha 39 anni ed è parroco in Agordino a Rivamonte, Tiser, Gosaldo, Voltago e Frassené 

la testimOnianza

Don Fabiano Del Favero è un “parroco a scavalco”. Il vescovo Renato Marangoni non si è accontentato di affidargli ben cinque comunità – Rivamonte, Tiser, Gosaldo, Voltago e Frassené – ma lo ha nominato anche vicario della “convergenza foraniale” di Agordo. È nato in Germania, dove la famiglia gestiva una gelateria, il 9 novembre 1982; è cresciuto nella parrocchia di San Vito e poi nella parrocchia di San Bartolomeo apostolo di Nebbiù.

Con 5 parrocchie e una forania riesce a dormire?

«Sì, grazie alla stanchezza».

Alla domenica quante messe celebra?

«Quattro messe, con 50 km di strada. Le due chiese più lontane distano dieci chilometri e mezzo. Ma una messa la celebro anche di sabato».

Quanti funerali l’anno scorso?

«In tutto 45. E ciascun defunto ha ricevuto le esequie nella sua chiesa di riferimento».

Nei Comuni più piccoli si è stati tentati dalla fusione.

«Per le parrocchie puntiamo a mantenere e valorizzare l’identità di ciascuna, ma è evidente che ci saranno attività pastorali in comune».

Il catechismo, ad esempio, lo fate ovunque?

«Abbiamo tre gruppi catechistici. I genitori si sono resi disponibili a portare i figli dove si svolge l’insegnamento, che è a turnazione».

La Pasqua, il Natale, le feste più importanti le celebrate in ogni parrocchia?

«La veglia pasquale è unica. Viene celebrata in una parrocchia a turno. E per la circostanza i cori parrocchiali si associano. Accade analogamente per la Via Crucis, per il rosario, per altre iniziative».

Le cinque parrocchie che cosa hanno in comune?

«Anzitutto un unico consiglio comunale, con rappresentanti di ogni comunità».

Ma i patrimoni, le risorse?

«Ogni parrocchia aveva un proprio consiglio degli affari economici. Stiamo unificandolo. Ma è ovvio che l’attenzione ci sarà per ciascuna realtà».

Lei abita a turno in una delle cinque canoniche?

«Ovviamente no, solo in una. Ma giro in continuazione. Una canonica l’abbiamo affidata agli alpini dell’Ana, un’altra è destinata all’ospitalità diffusa, una terza al catechismo, un’altra ancora a centro di sollievo per gli anziani».

La cooperazione così stretta fra più comunità è una scelta obbligata dalla mancanza di sacerdoti?

«Non solo. La collaborazione con più parrocchie è esigita anzitutto dalla corresponsabilità che raccomanda ancora il Concilio. Abbiamo infatti constatato che con un solo parroco o con due sacerdoti, i laici accrescono la loro partecipazione. E, come raccomanda spesso il nostro vescovo, non solo tra i più vicini alla chiesa, ma si stabiliscono nuove relazioni all’interno di ciascuna comunità. È davvero molto interessante questo farsi carico del destino anche di altri».

Non accadrà che via il parroco, lo spopolamento dei paesi sarà incentivato?

«No, al contrario, perché la corresponsabilità porta i laici ad attivarsi con ancora maggior partecipazione per il bene del loro territorio». —



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