Bob e Cadore, amore centenario per l’intuizione di uno studente

Nel 1903 Aldo Silvestri vide a Innsbruck «delle strane slitte con quattro pattini e un volante» 

L’EVENTO

Il bob cadorino compie 120 anni. Sport su strada, caratterizzato da una velocità ecologica, che ha scritto pagine indelebili nel Cadore di ieri grazie a Dino De Martin, Duilio De Polo, Lucio Tremonti e Franco Da Rin. Una disciplina giunta in Cadore ormai più di un secolo fa, oggetto di studi da parte dello storico Giovanni De Donà.

L’intuizione di Silvestri

Nel 1903 Aldo Silvestri, di Tai, allora studente ad Innsbruck, notò alcune strane slitte a quattro pattini con volante. Tornando in patria, stimolò il tenente Alfonso Becchis, in servizio alla caserma Calvi, a costruirne uno simile. Fu il primo bob del Cadore, forse anche d’Italia. Nel 1908 i fratelli Fanton, per illustrare ancora di più la fama del loro già lanciato albergo Marmarole di Calalzo, vollero dotarlo di un bob, acquistato a Davos, in Svizzera, e messo a disposizione di tutti i loro clienti. La consacrazione avvenne nell’inverno del 1914, a Courmayeur, dove il bob dei Fanton, con a bordo l’ingegner Giacobbi e Fabio Monti di Auronzo, vinse la prima gara di questa specialità.

L’epopea dei cortinesi

Negli anni Venti il lancio definitivo della specialità, con i cortinesi che però non stettero a guardare: nel 1922 organizzarono il campionato italiano sulla strada del Falzarego, dimostrando di aver compreso da subito le grandi potenzialità turistiche di questo sport. Costruirono la prima pista artificiale a Ronco, ideata dal commendator Tertshak e progettata dall’ingegner Giacobbi: sarà questa la pista intitolata poi a Duilio De Polo, teatro delle Olimpiadi del 1956. Nell’immediato secondo dopoguerra vennero fondati i due bob club di Cortina e quello dei “cugini” di Pieve; fecero seguito, nel 1948 quello di Lorenzago e nel 1951 quello di Pelos.

La testimonianza

«Il bob club di Pelos nacque sulla scia del vicino club di Lorenzago», ricorda Valentino Vecellio, di Vigo, classe 1939, «il primo bob fu assemblato nell’officina della fabbrica per lenti di Antonio De Silvestro e a guidarlo era un certo Lucio Casanova. Successivamente i fratelli Zancolò realizzarono altri due bob e così Pelos arrivò ad avere tre equipaggi a quattro, che parteciparono ai campionati triveneti e nazionali vincendo nel 1953 un titolo a Pieve. Questi bob erano fatti in casa, artigianalmente, ed erano realizzati sulla falsariga del vecchio modello “fairaben”, con materiali di recupero, in quelli che erano anni di miseria. Questi di Pelos erano equipaggi improvvisati, non si preparavano atleticamente a differenza dei lorenzaghesi che effettuavano corsi di pre atletica tanto che nel 1954 furono ammessi ai campionati del mondo di Cortina con pilota Lucio Tremonti».

Gli anni eroici

Gli anni a cavallo tra il 1950 e il 1960 furono “eroici” , con in pista i mitici modelli faraiben e podar. Gare di carattere nazionale e internazionale si tennero lungo i tornanti del Mauria, da Laggio a Tre Ponti, sul passo Giovo ed a Cortina: Manaigo, Silvestri, De Martin, Tabacchi, Da Pra, Gerardini, Tremonti risultarono i “top player” in quel periodo dominato dall’inebriante atmosfera delle Olimpiadi cortinesi. «I campionati italiani del 1950 e 1951, tenuti lungo la strada del Mauria, furono documentati dai filmati dell’istituto Luce», racconta lo storico Giovanni De Donà, «gli stessi video, proiettati nei cinema di tutta Italia, costituirono una importante vetrina turistica per le nostre zone. In quegli anni il bob su strada ebbe il merito di forgiare i futuri grandi atleti del bob su pista, dall’olimpionico Eugenio Monti, “il rosso volante”, fino a Nevio De Zordo, Adriano Frassinelli, Corrado Dal Fabbro, Edoardo De Martin, Italo De Lorenzo ed Enzo Vicario. Gli anni’70 e’90 sancirono l’affermarsi a livello nazionale ed europeo del campione di Vigo Franco Da Rin Puppel “Baigo”, dell’Us Valpiova».

La decadenza

Il resto è storia recente, caratterizzata da una crescente disaffezione per uno sport divenuto troppo tecnologico ed alla portata di pochi. «Chissà che i prossimi giochi di Cortina non possano risvegliare l’interesse di qualche devoto per far si che il vecchio amore per questa disciplina non muoia definitivamente», conclude Valentino Vecellio. —

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