Silvano Contini e l’incubo delle Tre Cime

25 maggio 2013, battaglia di Lavaredo. Quel giorno, penultima tappa, il Giro d’Italia decreterà il vincitore dell’edizione 2013. Sarà una tappa terribile: 202 km da Silandro al rifugio Auronzo, dopo aver valicato Costalunga, San Pellegrino, Giau e Tre Croci. Con la salita finale che presenta tratti con pendenza superiore al 18 per cento. Sarà la settima volta del Giro d’Italia lassù.
La prima fu nel 1967 (ma fu una «prima» che andò a vuoto, in quanto le spinte e i traini delle ammiraglie causarono l’annullamento dell’ordine d’arrivo), l’ultima nel 2007 (vittoria di Riccardo Riccò su Leonardo Piepoli). In mezzo i successi di Merckx, Fuente, Breu ed Herrera. E la fatica, il sudore, la delusione o la soddisfazione di tanti corridori. Campioni e non.
Uno di loro è Silvano Contini («un buon corridore, capace di vedere la corsa», ama definirsi), protagonista del ciclismo italiano e internazionale degli anni Settanta e Ottanta. Contini è stato professionista dal 1978 al 1990, ha vinto una cinquantina di corse, la più importante la Liegi-Bastone-Liegi del 1982. Al Giro d’Italia ha conquistato 5 tappe e vestito la maglia rosa per 14 giornate.
Maglia rosa addio. Ed era vestito della maglia rosa, Contini, quando arrivò al rifugio Auronzo, Giro d’Italia 1981, terzultima tappa. «Ma appena dopo il traguardo dovetti cederla a Battaglin», spiega l’ex professionista lombardo, oggi titolare di una falegnameria specializzata nella realizzazione di serramenti. Già la tappa precedente, quella che arriva a San Vigilio di Marebbe, soffrii parecchio. Il giorno dell’arrivo alla Tre Cime la velocità fu sostenuta fin dalla partenza. Ai piedi del Tre Croci ero già in fondo al gruppo, senza compagni a darmi una mano. Riuscii a salvarmi, ma già a Misurina ero a tutta e sulla salita finale non ci fu niente da fare. Vinse lo svizzero Breu e Battaglin si prese la maglia che non mollò più fino al traguardo finale di Verona. Volava, quell’anno, il vicentino. Io chiusi al 4° posto la corsa rosa».
Salita infinita. «Cosa ricordo delle Tre Cime? Una salita che non finiva mai. Quel giorno, cento metri era come se fossero un chilometro. Una fatica infinita per me che non ero uno scalatore puro».
Dolomiti, che passione. Da quando ha smesso di correre, Contini non è più salito in bici, ma le Dolomiti le frequenta con assiduità. «Mi piace la tranquillità che offre la montagna. Mi piacciono le ferrate: tra le più belle che ho fatto la Tommaselli, sulle Dolomiti di Fanes, e la ferrata delle trincee, sul Padon, sopra Arabba».
Il ciclismo di oggi. «Se vuole tornare ad appassionare, il ciclismo deve darsi una ridimensionata . Basta corridori “telecomandati” dalle ammiraglie e programmati per poche corse. I tifosi si entuasiasmano solo se un corridore è protagonista tutto l’anno».
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