Mirco Bulbo De Moliner, un pezzo di storia del pallone provinciale

BELLUNO. Certe passioni non finiscono mai. Mirco De Moliner, per tutti “Bulbo”, e il calcio si sono conosciuti presto e mai più lasciati. Anche ora che, a cinquantuno anni appena compiti, il calcio giocato non è più una strada praticabile, il pallone e ancor di più la porta sono richiami irresistibili. Lui resta uno dei personaggi più simpatici ed amati del panorama bellunese.
Ma come è nato questo somprannome così particolare?
«Può sembrare strano, ma c'è stato un tempo da piccolo in cui ho avuto i capelli. Quando li lasciavo crescere in testa mi veniva un bel “cesto”, e un giorno in oratorio qualcuno iniziò a dirmi che sembrava un bulbo. Ecco, a forza di ripeterlo questo è diventato il mio soprannome, tanto che dopo poco, solo a casa mi chiamavano Mirco».
Proprio in oratorio come spesso accade ci sono stati i primi approcci tra Bulbo e il calcio.
«Ho iniziato a giocare da piccolo come succede per tutti. L'importante era sempre giocare, con gli amici in oratorio e ovunque capitasse ogni momento era quello buono. Non ho cominciato subito come portiere, da bambini non sempre si hanno subito le idee chiare: all'inizio io facevo l'attaccante, con scarsi risultati, e per esempio Stefano Sommavilla, che poi sappiamo che gran giocatore sia diventato, faceva il portiere».
Poi il passaggio nelle giovanili del Belluno. Una scuola importante per crescere e diventare uno dei portieri più conosciuti del calcio bellunese.
«Ho fatto tutta la trafila nelle giovanili gialloblu, partecipando anche alle varie rappresentative. I primi tecnici che ricordo sono Temistocle Moretti e Stefano Realini, con cui ricordo che, nonostante i risultati non fossero eccelsi, si era creato davvero un bel gruppo che poi negli anni ha dato ottimi frutti. Poi con Aldo Borsato credo di avere avuto il primo vero imprinting calcistico, su come si deve impegnare ed allenare in modo professionale un calciatore. Altra persona davvero importante per la mia crescita è stato Ivo Imbolito: una persona eccezionale che dal punto di vista umano mi ha dato molto».
Dagli Allievi in poi, progressivamente, il passaggio nella prima squadra gialloblu in cui tra Prima Categoria e Promozione sono state tante le partite e le soddisfazioni.
«Le emozioni delle prime convocazioni e dei primi allenamenti coi “grandi” le ricordo ancora. Il mio esordio fu in una amichevole, giocai il secondo tempo e da quanto ero teso ed emozionato finii coi crampi. Dall'esordio con mister Colusso nella stagione 84-85 al 90 mi sono sempre giocato il posto, attraversando anche gli anni difficili in cui iniziarono a esserci meno soldi e quindi progressivamente sparirono i giocatori trevigiani. Poi con Toni Tormen vincemmo il campionato, una soddisfazione immensa. Sono rimasto sempre al Belluno, anche rifiutando qualche offerta, con un'unica parentesi al Piave in Terza nell'anno del militare: pochi risultati ma anche lì mi trovai benissimo».

Poi, dopo il salto nell'Interregionale, la scelta obbligata di ridurre l'impegno per dare spazio al lavoro.
«Non avendo mai avuto troppa voglia di studiare, anche per dare spazio al calcio, ho iniziato abbastanza presto a lavorare nell'attività di famiglia, e allenarmi di pomeriggio è diventato sempre più difficile. Ho scelto quindi passare alla Zumellesetrichiana neopromossa in Seconda Categoria, con Toni Scot allenatore: tecnicamente non eravamo una gran squadra, ma con un gruppo fortissimo riuscimmo a salvarci, per poi invece vincere il campionato nella stagione successiva con Silvano Sommacal in panchina. Sono rimasto fino al 1995, poi è inziata quasi per gioco l'avventura nel calcio a cinque».
Sono gli anni della Sai Belluno, anni pioneristici del calcio a cinque bellunese con il gruppi di Diego Pilat e sfide epiche in campo con la Luparense di Zarattini.
«Nacque tutto per amicizia, eravamo un gruppo di “vecchietti” che si trovava per giocare a calcetto e un bel giorno decidemmo di iscriverci ad un vero campionato, la serie C2: vincemmo tutte le partite, al termine di un duello serratissimo con la Luparense, con cui in quegli anni si creò un duello sportivo davvero intenso e combattuto. L'anno successivo in C1 fu uno scontro ancora tra noi e loro, che alla fine vinsero il torneo. Noi arrivammo secondi, e poi perdemmo ai playoff anche perchè eravamo consapevoli che un ulteriore salto di categoria avrebbe necessariamente comportato un aumento di impegno e risorse economiche che non avevamo».
Non era ancora ora di appendere i guanti al chiodo, ed ecco che ancora una volta al richiamo del campo Bulbo risponde presente.
«Avevo promesso a Stefano De Zolt che se fosse venuto a giocare con noi alla Sai, poi io lo avrei seguito in Alpago e così fu. Dopo un anno in Seconda fummo ripescati in Prima: una stagione soffertissima chiusa con uno spareggio epico col San Giorgio di Charlie Pierobon a Ponte nelle Alpi. Giocai forse la mia miglior partita, parando praticamente tutto, ma a pochi istanti dal termine, sull'1-1, il mister fece una mossa alla Van Gaal togliendomi per fare posto a Elvis Barattin. Ai rigori vincemmo noi, il rischio evidentemente pagò».

Dopo questo epilogo thrilling, ecco l'inizio della nuova vita da preparatore dei portieri, prima in giro per il bellunese e poi nelle rappresentative provinciali.
«Già mentre giocavo a calcio a cinque avevo iniziato ad allenare i portieri dell'Alpina, e quando ho smesso di giocare è stato abbastanza naturale come cambio di ruolo. Ho allenato i portieri dell'Alpago e della Zumellese, poi non avendo i pomeriggi liberi per il lavoro ho dovuto fermarmi nonostante avessi tanta voglia di allenare i ragazzi, e solo ora ho ricominciato ad allenare i portieri a Sois. Poi, quasi per caso, quando ho scritto ad Orazio Zanin per complimentarmi per la sua elezione a delegato provinciale, è partito il progetto in Rappresentativa. Il primo anno con Toni Tormen il lavoro è stato impostato molto bene, e così stiamo continuando con Manuela Boito. Non è un compito semplice perchè richiede attenzione nel visionare tanti ragazzi, facendo una selezione sia a livello calcistico che comportamentale collaborando con tutte le società: comunque in questi anni abbiamo vinto il torneo Nicolli coi Giovanissimi, ci siamo sempre ben comportati e non possiamo che essere contenti, anche se davvero ci sono rimasto male quando la Federazione ha deciso di eliminare le Rappresentative Allievi: non credo fosse una spesa così fondamentale da tagliare per risanare i bilanci, sui giovani non bisogna risparmiare né risparmiarsi».
Da queste parole si capisce che la voglia di stare sui campi da calcio è ancora tanta. Quali sono i progetti per il futuro?
«Davvero non lo so, intanto finisco questa stagione tra Sois e Rappresentativa e poi vedremo. Certo, le emozioni che mi dà il calcio sono sempre tante: fosse per me scenderei in campo anche subito, la voglia di giocare è sempre quella. Allenarmi non mi è mai pesato e sono sempre stato uno di quei giocatori sempre presenti ad allenamento, e per fortuna sempre ben voluto da mister e compagni. Quando si ha passione i sacrifici non pesano».
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