Il sogno spezzato dal gelo svedese

FORCELLA AURINE . La Svezia e De Dorigo, un rapporto complicato. Prima di vivere la terribile notte di Volodalen, poco meno di un anno prima, nella settimana tra Natale e l’ultimo giorno dell’anno del 1963, nel pieno della preparazione olimpica in vista di Innsbruck 1964, in una 30 km in Svezia, Marcello esce di pista in una curva e nell’urto contro una pianta oltre alle ferite al viso subisce una gran botta all’anca: arriva ugualmente al traguardo ma ha il viso talmente coperto di sangue, che la ragazza in costume addetta al ritiro del pettorale scappa inorridita. Si trascina le conseguenze per tre settimane, tanto che non riesce neppure a mettere gli sci e perde quindi l'allenamento di qualità che avrebbe dovuto portarlo in gran forma all'appuntamento olimpico. E a Innsbruck arrivano piazzamenti non in linea con le aspettative suscitate dalle pre olimpiche dell’anno prima. A novembre del ’64 gli azzurri tornano in Svezia per rifinire la preparazione.
E qui, a Volodalen, nel centro gestito da Gosta Olander, il 28 novembre la carriera di “Celi” finisce. Ad appena 27 anni. Dopo un’avventura agghiacciante. Quel mattino De Dorigo era uscito per la consueta razione di chilometri. La temperatura era rigida, - 15°, e Marcello aveva messo dei guanti troppo leggeri. Così era rientrato a cambiarli e a sostituire la fascia para orecchie con un berretto di lana. Al momento di ripartire, viene tradito da una fitta nebbia: mentre i compagni completavano l’allenamento senza riuscire a raggiungerli, De Dorigo proseguiva su una pista sbagliata che si spingeva tra i boschi.
Marcello vaga per ore, con temperature che diventavano sempre più rigide. Gli azzurri si mettono a cercarlo. Verso mezzanotte De Dorigo vede in lontananza le luci di Volodalen, che però spariscono non appena scende dalla collina e si inoltra nel bosco. Stravolto dalla fatica e dal freddo, “Celi” rimane lucido: ha l’avvertenza si stabilire la rotta da prendere orientandosi su tre stelle posizionate sulla direzione di Volodalen. Si avvia ma in discesa cade e rompe uno sci. Deve proseguire a piedi ma le gambe non lo reggono più. Alle 3 di notte decide di fermarsi, levarsi scarpe e calze per massaggiare i piedi nel tentativo di riattivare la circolazione. Riparte e si trascina per altre tre ore. Alle 6 del mattino trova una guida lappone, alle 7 arrivano i soccorritori ma la situazione è grave.
Le sue eccezionali doti fisiche e di spirito gli hanno consentito di sopravvivere 22 ore al gelo, ma gli vengono amputate sei dita dei piedi: con il fondo agonistico ha chiuso perché, pur riuscendo ancora a sciare, i piedi con il freddo perdevano ogni sensibilità e rischiava nuovamente il congelamento. (i.t.)
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