Capraro, da Belluno al Petrarca Padova sempre a caccia del triangolino tricolore

Dopo il successo del 2018, quest’anno il bis era ancora alla portata: la squadra era in ripresa dopo un momento difficile
PRANDI - FOTO PIRAN - FINALE SCUDETTO RUGBY PETRARCA CALVISANO capraro
PRANDI - FOTO PIRAN - FINALE SCUDETTO RUGBY PETRARCA CALVISANO capraro

Luca Maciga / BELLUNO

Un bellunese nel mondo del grande rugby. Questo è Marco Capraro, classe 1993, ex giocatore gialloblù, dalla stagione 2014-2015 in forza al Petrarca Padova. Se non basta, c’è anche la ciliegina sulla torta, quando a maggio 2018 arriva prima lo scudetto in maglia nera e poi la convocazione con la nazionale “Emergenti”. Un anno sicuramente da ricordare. Con la nazionale, agli ordini del tecnico Pasquale Presutti, Capraro venne chiamato per sostituire un assente. Partì così per i Mondiali in Sud America dove l’Italia affrontò l’Argentina, l’Uruguay e la selezione delle Fiji Warriors. Gli inizi furono in età giovanile proprio a Villa Montalban, quartier generale gialloblù. Nelle giovanili ha giocato un po’ in tutti i ruoli, fino a diventare un estremo-apertura di tutto rispetto. Poco prima di raggiungere la maggiore età, arriva l’esordio in prima squadra.

«Ho iniziato a giocare a rugby a cinque anni», racconta, «su input di mio padre che me lo ha fatto provare. Mio papà in realtà non è mai stato un rugbista, tuttavia ha seguito il Belluno negli anni della serie A. Scherzosamente mi diceva di scegliere lo sport che volevo, ma non il calcio. Così è nata la mia passione per il Belluno».

Gioca qualche stagione in serie C con il Belluno e poi arriva il trasferimento al Petrarca. Come è avvenuto?

«L’allenatore del Padova Andrea Moretti era molto amico di Alessandro Giacon. Siccome a questo allenatore avevano parlato di me ed aveva visto alcuni video, questi ne parlò con Giacon che mi conosceva bene e che fece da tramite. Mi convocarono, feci un provino e decisero di tenermi».

Dopo qualche campionato con la maglia nera arriva lo scudetto nel 2018, con la vittoria nella finale contro il Calvisano.

«È la più grande soddisfazione. La partita è stata veramente bella. Eravamo al termine di una stagione fortunata, senza alcun infortunio di rilievo e le partite, in un modo o nell’altro, terminavano sempre con un risultato positivo. Quindi siamo scesi in campo con una certa confidenza che non ci ha fatto sentire la pressione dell’incontro e con la sensazione di poter veramente far bene. Fra l’altro abbiamo giocato di fronte a 6800 spettatori, per noi era un qualcosa di diverso dal solito. Il Calvisano era un avversario tosto, tuttavia nella semifinale aveva avuto qualche infortunio, e nella finale ha incontrato noi che abbiamo fatto una gran partita».

Giusto per concludere in bellezza l’annata c’è la convocazione in Nazionale Emergenti per i mondiali.

«È stata un’esperienza interessante, anche se ho giocato poco. Non ho vissuto le partite da titolare, anche perché ero là da “sostituto”. Avevamo perso contro Argentina ed Uruguay invece abbiamo vinto contro le isole Fiji. Durante gli allenamenti con la nazionale non ho notato grosse differenze in quanto quei miei compagni di squadra erano gli stessi avversari che avevo affrontato durante la stagione, oltre ad alcuni miei compagni di squadra. È ovvio che il livello fosse più alto, visto che si trattava di una selezione nazionale».

In questi anni al Petrarca ha giocato con alcuni stranieri. Quali sono quelli che la hanno impressionato maggiormente?

«Joaquin Andres Riera, che è un centro argentino, è qui da alcuni anni ed è quello al quale sono più legato. È molto valido dal punto di vista tecnico e con lui abbiamo vinto lo scudetto».

Tornando alle radici, quando può lei ritorna a trovare i suoi ex compagni del Belluno. Recentemente era in tribuna ad assistere all’incontro con il Bassano. Come ha trovato questo Belluno?

«Ho mantenuto un legame con l’ambiente gialloblù, anche se non riesco a venire spesso a Belluno. La squadra l’ho trovata bene. Quest’anno hanno cambiato allenatore e quindi devono capire cosa lui vuole dalla squadra. Sono certo che una volta che avranno ingranato, avranno le potenzialità per far bene. Fra l’altro, parlo spesso con Alessio Dal Pont ed ha un’idea di gioco molto simile alla mia».

Nel periodo bellunese, quali sono stati i compagni con cui ha legato meglio?

«C’è Luca Bortoluzzi con il quale ho giocato fin da piccolo e poi ci sono Alberto De Polo e Federico Brancher con i quali si faceva più “comarò” in spogliatoio. Con questi tre, rispetto agli altri compagni, sono cresciuto insieme. Fra l’altro Alberto De Polo, l’attuale capitano, ricopriva questo ruolo anche quando c’ero io. Per me lui era un faro, dal quale ho preso alcuni “spunti”, quando giocava già in prima squadra ed io ero ancora nelle giovanili. Comunque ho avuto un bel rapporto con tutti i compagni».

Dal punto di vista tecnico, quale è stato il coach fondamentale nel suo percorso di crescita sportivo?

«In una qualche maniera direi tutti. Ricordo in particolare l’allenatore con il quale ho preso in mano l’ovale per la prima volta, Piergiorgio Giacon. Poi c’è Stefano Bianchet detto “Taurus”, che è mancato a settembre del 2016 ed è stato un tecnico importante. Ogni volta che scendo in campo indosso un polsino con il suo soprannome. Inoltre ho mantenuto buoni rapporti con Nicola Tomasella e Gigi Liguori».

Prima della sospensione ufficiale, il suo Padova era quinto a due lunghezze dalle tre seconde. Se i giochi fossero proseguiti che campionato avreste giocato?

«Siamo partiti bene, poi ci siamo un po’ spenti. Nelle ultime partite ci stavamo esprimendo bene perché ci eravamo ritrovati. Difficile dire se avremmo vinto il campionato, però potevamo essere tranquillamente in corsa per la vittoria finale. Per quanto riguarda il mio futuro, l’intenzione è quella di rimanere a Padova, però non ho ancora firmato il contratto». –

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi