«All’antidoping con il pene finto»

LONDRA. Per una vita ha demolito gli altri, ora ci prova con se stesso. Da tempo Mike Tyson è impegnato a distruggere quel che resta del suo mito. Oggi, come se non bastassero i precedenti del carcere per stupro e altri reati commessi prima e dopo la carriera sportiva, un'anticipazione della sua autobiografia informa che il grande pugile assumeva droga prima di salire sul ring, e poi aggirava l'antidoping con un pene finto. Grande campione sì, ma dopato. E capace dei più singolari trucchi. La vicenda del pene finto riempito di urina altrui per aggirare i controlli non è nuova. Nel 2004 la Wada, l'agenzia mondiale antidoping denunciò l'esistenza di un mercato di questi prodotti. Per anni se ne sono serviti atleti di tutte le latitudini, trattandosi di un metodo tutto sommato facile da utilizzare e più moderno rispetto ai tubicini infilati nella manica da cui proveniva la pipì pulita da rifilare ai medici o al sempre pericoloso scambio di provette. Il pene finto funzionava anche con i giudici scrupolosi che tuttavia difficilmente osavano tastare il pene dello sportivo sotto controllo. La tecnica della protesi peniena sostituì quella della pompetta, di cui fece a lungo uso pure Diego Maradona quando giocava nel Napoli, come rivelato dall'allora presidente partenopeo Corrado Ferlaino. I primi atleti di grido a ricorrere al pene finto, ma con scarsi risultati perché la tecnica era agli esordi, sono stati gli ungheresi Robert Fazekas, oro nel disco ai Giochi di Atene, e Adrian Annus, primo nel martello, scoperto anche lui e costretto a restituire la medaglia.
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