L’affondo di don Ciotti: «Fondi sottratti all’Antimafia per le Olimpiadi: è grave»

Don Luigi Ciotti (fondatore di Libera) a Pieve di Cadore: «Preoccupato per la speculazione in atto sulle Dolomiti. L’ultima ambiguità riguarda le spese per le Paralimpiadi, passate da 70 a 328 milioni di euro»

Francesco Dal Mas
Uno scambio di opinioni tra don Ciotti e il pubblico
Uno scambio di opinioni tra don Ciotti e il pubblico

Il testamento del cadorino don Gigi Ciotti. No agli investimenti speculativi sulle Dolomiti con la scusa delle Olimpiadi. Anzi, più trasparenza nei cantieri per i Giochi. E «tutta l’indignazione possibile» per i fondi sottratti all’Antimafia per investirli nella preparazione olimpica.

Così don Luigi Ciotti, fondatore di Libera e del Gruppo Abele, ritornato ieri nel suo paese, Pieve di Cadore, per festeggiare gli 80 anni.

Ai 500 incontrati in sala Cosmo, accompagnati dall’arcidiacono mons. Diego Soravia, dalla sindaca Sindi Manushi e dal rappresentante della Magnifica, “don Gigi” ha confidato un sogno: «Regalatemi il Parco del Cadore».

Un momento della conferenza con Don Ciotti
Un momento della conferenza con Don Ciotti

Ritornare in Cadore per compiere 80 anni. Il dna della famiglia cadorina come ha improntato la sua vita?

«La gente di montagna viene spesso descritta come chiusa, burbera e diffidente. Ma è un grande equivoco. Al di là dei singoli caratteri, ho sempre visto nella popolazione cadorina una vocazione all’essenzialità. Oggi le condizioni di vita sono molto cambiate, ma nel Cadore della mia infanzia la montagna ti allenava il corpo e lo spirito. Era un mondo di fatiche, e di collaborazione fra le persone per affrontarle. Un mondo che chiedeva la propria sopravvivenza alla natura, quindi si preoccupava di fare sopravvivere le risorse naturali, senza abusarne. Un mondo di fede, asciutta ma vera».

Mai come in questi anni il Bellunese ha ricevuto tanti soldi dallo Stato. E, per la verità, l’economia locale ha saputo svilupparsi. Ma prosegue lo spopolamento.

«Oggi, con un’economia più florida, avremmo la possibilità di valorizzare i territori. Potremmo intervenire, incentivare. E aiutare i giovani a riscoprire il privilegio di un’esistenza vissuta a contatto con la natura, dentro comunità coese e accoglienti, che si prendono cura delle relazioni umane e sono capaci d’integrare senza pregiudizi chi arriva da fuori. Per ottenere questo serve però che i soldi investiti producano prima di tutto equità: la gente deve vedere che le risorse sono messe al servizio di un benessere diffuso. Invece spesso capita che il tanto decantato sviluppo economico sia disgiunto da un vero progresso sociale. A guadagnarci sono in pochi, sempre gli stessi. Le ricadute positive si misurano in “zeri” su alcuni conti correnti, più che in prevenzione del rischio idrogeologico, servizi sanitari, inclusione delle fasce svantaggiate. Così chi si sente “tagliato fuori” preferisce assicurarsi uno “standard” di vita lontano anziché scommettere sulle specificità della propria terra».

Esemplifichi per favore.

«Pensiamo all’effetto Olimpiadi. Sappiamo che negli anni scorsi c’è stato un acquisto massiccio di immobili da parte di investitori internazionali, verosimilmente per un utilizzo turistico durante il periodo olimpico. Ma dopo l’evento, che fine faranno quelle case? Questo tipo di operazione speculativa non aiuta certo a ripopolare».

Le Olimpiadi “saranno le prime sostenibili” della storia, si diceva. Invece?

«È possibile che siano stati fatti degli sforzi in questo senso, però ci sono troppe cose che non tornano. Per quanto riguarda ad esempio le opere di nuova realizzazione, in troppi casi non è stata prevista una valutazione d’impatto ambientale in fase iniziale, perché ritenuta non necessaria. Eppure la sostenibilità dovrebbe poggiare proprio sulla prevenzione! La Campagna Open Olympics 2026, lanciata da Libera insieme a tante realtà territoriali per chiedere trasparenza, ha sollecitato Simico, la Società responsabile della realizzazione di tutte le opere connesse alle Olimpiadi, a fornire alcuni dati. Che ancora mancano».

Simico si era impegnata. «Simico si era impegnata a fornire fra gli altri il dato sull’impronta in termini di Co2 (dato che è vincolata a raccogliere), ma neppure nel suo ultimo report, pubblicato ad agosto scorso, l’ha fatto. C’è poi un problema di coerenza. Se nelle 127 pagine del dossier di candidatura la parola “sostenibilità” compariva 96 volte, oggi tra i 45 sponsor ufficiali spiccano grandi gruppi dell’industria fossile e bellica».

Lei si è appena detto “indignato” dei fondi passati dall’Antimafia alle Olimpiadi.

«Se guardiamo agli aspetti finanziari le cose non vanno purtroppo meglio. Il budget iniziale di 1,36 miliardi di euro è salito a quasi 6 miliardi, con 3,4 miliardi destinati a infrastrutture non direttamente connesse ad esigenze sportive. Come Libera ci ha particolarmente indignati scoprire che 43 milioni di euro, destinati al Fondo di solidarietà per le vittime di mafia, usura ed estorsione mafiosa, siano stati dirottati per decreto a finanziare l’organizzazione delle Olimpiadi. Un’organizzazione che, senza grandi sorprese, è oggi esposta proprio al rischio di infiltrazione mafiosa, come iniziano a rilevare le indagini sugli appetiti criminali nei lavori in appalto. Ma c’è un’altra ambiguità».

Quale ambiguità?

«L’ultima ambiguità emersa riguarda le spese per le Paralimpiadi, che secondo le previsioni avrebbero dovuto costare in totale 70 milioni di euro. Ebbene, è notizia recente che il Commissario alle Paralimpiadi avrà a disposizione un budget di 328 milioni di euro da spendere in un lasso di tempo brevissimo, fra settembre e dicembre 2025, con obbiettivi per altro molto generici. Mentre il Fondo per la disabilità, che dovrebbe garantire cure e servizi alle persone comuni in tutta Italia, ha visto i propri importi più che dimezzati, passando da 581 a soli 231 milioni di euro, le spese per le Paralimpiadi sono quadruplicate: ci sembra normale?»

Taluni ritengono uno “scandalo” buttare 39 milioni in un villaggio olimpico usa-e-getta?

«Purtroppo l’esperienza di altre città, fra cui Torino, ci dice che l’ente pubblico fa molta fatica a riqualificare e attribuire nuove funzioni alle strutture olimpiche. Ma il villaggio olimpico di Fiames sembra un’opera particolarmente critica. Gli studi archeologici ci dicono che in quel punto della valle, stretto e fragile, non costruiva neppure l’uomo del neolitico, se non edifici provvisori come le palafitte. Si è scelto quel punto perché non ancora urbanizzato, ma senza chiedersi seriamente perché non lo fosse. Lì prima non c’era nulla: rete fognaria, elettricità ecc. Solo un gran freddo, persino d’estate. Il rischio non è solo che il villaggio non venga usato dopo le Olimpiadi, ma anche che già durante l’evento gli atleti con più risorse lo snobbino, preferendo sistemazioni più comode in città. Questo vorrebbe dire fra l’altro creare gruppi di atleti di serie A e atleti di serie B: un vero tradimento dello spirito olimpico».

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