«Cambiamenti climatici, l’Alemagna resta uno collo di bottiglia»
Lorraine Berton, Confindustria Belluno: «C’era una mappa dei rischi del territorio: applicata alla statale 51 avrebbe potuto, e potrebbe ancora, guidare investimenti mirati»

Gli industriali di Belluno prendono nuovamente posizione sul “caso” Alemagna: «Un lavoro scientifico lungo oltre un anno, condotto da Enel Foundation, Università Ca’ Foscari di Venezia e il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, insieme a Confindustria Belluno Dolomiti», si legge in una nota di oggi, venerdì 8 agosto, «aveva già fotografato con precisione le fragilità del territorio provinciale. Era il 2021 quando lo studio venne presentato, in coincidenza con la Giornata internazionale per la riduzione del rischio di catastrofi. La promessa era quella di fornire alle comunità locali, alle istituzioni e agli operatori economici uno strumento concreto per pianificare interventi e prevenire emergenze legate ai cambiamenti climatici».
«Quel lavoro si è tradotto in una mappa dettagliata», continua la nota, «costruita grazie a 60 indicatori che combinano dati ambientali, economici e infrastrutturali. Non un’immagine astratta, ma un modello di analisi regionale capace di individuare pericoli concreti, stimarne l’impatto e misurare la vulnerabilità delle aree coinvolte. La logica è semplice: individuare la pericolosità di un evento, capire cosa può essere colpito – popolazione, infrastrutture, attività economiche – e stimare la propensione a subire danni. È così che sono stati mappati i rischi per il turismo estivo e invernale, per l’industria dell’occhialeria, per gli impianti di produzione energetica e per le grandi infrastrutture viarie».
Dalla lettura della mappa emergeva già allora un punto nevralgico: la SS51 di Alemagna. L’arteria che collega le Dolomiti al resto del Paese era segnata come un “hotspot” di criticità. In estate, il pericolo maggiore era la caduta di massi e le frane in corrispondenza di versanti instabili; in inverno, la minaccia proveniva dai canali valanghivi e dalle gelate. La combinazione tra l’alta esposizione dovuta ai flussi turistici e la vulnerabilità strutturale creava un potenziale di impatto amplificato, in grado di compromettere l’accessibilità di intere vallate e la tenuta economica di intere stagioni.
Il progetto, spiegava allora il professor Carlo Giupponi di Ca’ Foscari, non si limitava a segnalare i pericoli, ma forniva un metodo per valutarne l’evoluzione in diversi scenari climatici, dall’assenza di politiche di mitigazione fino a interventi virtuosi e tempestivi: «Abbiamo cercato di calare su questo territorio ciò che sappiamo dei cambiamenti climatici – affermava – per capire se ci sarà un incremento della pericolosità e come incidere per proteggere le attività socio-economiche».
Non è stato fatto quasi nulla. «Oggi, nell’estate in cui l’Alemagna è finita più volte sotto i riflettori per frane, blocchi e interminabili code, quella mappa torna di drammatica attualità. L’estate maledetta del 2025 ha confermato, evento dopo evento, ciò che lo studio indicava con chiarezza già quattro anni fa: i rischi non solo sono concreti, ma sono anche prevedibili. Eppure, nonostante le ripetute presentazioni in sedi pubbliche, lo strumento non è mai stato formalmente integrato nei processi decisionali delle istituzioni locali».
«Se vogliamo rimanere in montagna, dobbiamo fare i conti con le mutazioni del clima, i cui effetti abbiamo imparato a conoscere sulla nostra pelle negli ultimi anni», ribadisce oggi la presidente di Confindustria Belluno Dolomiti, Lorraine Berton.
«La mappa non era – e non è – un semplice esercizio accademico. È una radiografia del territorio, che permette di capire dove intervenire con opere di consolidamento, dove pianificare percorsi alternativi, dove potenziare i sistemi di allerta. Applicata al caso dell’Alemagna, avrebbe potuto – e potrebbe ancora – guidare investimenti mirati in barriere paramassi, opere di protezione, monitoraggio strumentale e gestione dinamica del traffico. In un contesto di crisi climatica, ignorare uno strumento di questo tipo significa rinunciare a un vantaggio strategico nella prevenzione. L’esperienza di quest’estate dimostra che non è più tempo di analisi lasciate nei cassetti: le informazioni ci sono, le tecnologie per agire anche. Ora serve la volontà politica di trasformarle in azioni concrete, prima che la prossima frana, la prossima valanga o il prossimo evento estremo facciano del Bellunese un territorio ancora più isolato e vulnerabile».
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