L’albergatore: «Sono stagionali, non schiavi. Servono formazione, alloggi dignitosi e pasti equilibrati»
L’analisi di Francesco Accardo, direttore dell’hotel Boite a Borca di Cadore, sul tema del lavoro stagionale: «I miei colleghi devono capire che bisogna investire. I ragazzini considerano solo i soldi, ma conta molto l’ambiente»

«Sul lavoro stagionale c'è sempre una visione a metà tra il capitalismo e il socialismo, credo ci siano torti e ragioni sia da parte dei lavoratori che dei datori di lavoro».
A parlare, sollecitato dal nostro sondaggio sui lavoratori stagionali, è Francesco Accardo. Trentacinque anni, è direttore dell’hotel Boite a Borca di Cadore con 130 camere.
È vero che non si trova personale?
«Se metto un annuncio adesso, fra un'ora ho 40 candidati, quantomeno per le lavorazioni semplici. Ma parliamoci chiaro: il cameriere lo può fare chiunque, basta mettersi in testa che bisogna fare un minimo di formazione. Poi posso esser d'accordo sul fatto che non troviamo un cuoco, un responsabile: questo può essere più complesso, è necessario proporgli offerte economiche più importanti. Ma pensando al mio hotel, sono tutte lavorazione semplici. La formazione minima la facciamo noi in dieci giorni».
E quindi qual è il problema?
«Bisogna comprendere il fatto che il datore di lavoro deve investire su alcune cose».
Quali?
«Sulla formazione, ripeto. Poi sugli alloggi, la mensa. Ho avuto un manutentore che ha lavorato per anni in un 5 stelle di Cortina dove non aveva la camera, doveva dormire in corridoio e farsi la doccia nelle stanze dei clienti quando erano libere».
Ecco, parliamo degli alloggi. Spesso i lavoratori faticano a trovarne nelle località in cui devono lavorare.
«Certo, ha idea di quali sono gli affitti qui in valle del Boite? C'è un serio problema di gentrificazione, tutte le persone con la casa hanno deciso di farci un b&b. Io ho la fortuna che il mio albergo è stato progettato con criterio, ha previsto tutte le camere per il personale. Ma abbiamo comunque dovuto intervenire, costruendo una cucina per i dipendenti e attivando la mensa. E non puoi mica dare alle persone pasta a pranzo e cena. Bisogna entrare nell'ottica che i dipendenti devono avere un'alimentazione equilibrata ed essere felici quando finisce il pasto. È quasi elementare, ma bisogna ricordarsi che non sono schiavi bensì la nostra forza lavoro. Invece c'è questa tendenza che va bene tutto».
Lo conferma, quindi?
«Certo, sarei un'ipocrita se lo negassi. Quelle persone si meritano di non trovare lavoratori. Bisogna anzitutto rispettare il personale, poi è anche vero che c'è tra i ragazzi una propensione a considerare solo il lato economico. Invece conta molto l’ambiente. Io sono sicuro che il mio ambiente sia sano, visto che più del 60% degli stagionali tornano da noi. Perché sanno che è un ambiente rispettoso. Le faccio un esempio».
Dica.
«Ho un ragazzo che voleva fare il corso da sommelier, io gli ho detto: “vediamo insieme che corso è, chi lo tiene, poi lo fai fatturare all’albergo e lo paghiamo noi, con la promessa che ti fai le prossime due stagioni e diventi il nostro sommelier”. A noi è costato 500 euro, tra l'altro con fattura che scarichiamo. Questo è l'abc».
Parliamo di soldi.
«Un nostro cameriere che fa 40 ore più circa 6 di straordinari, prende 1650 euro netti. Io sono un ingegnere, quando ho cominciato non me li davano questi soldi. Noi abbiamo un altro hotel a Cagliari con 207 camere e bisogna notare che c'è una differenza di retribuzione del 25-30%, dipende dal costo della vita. Un'altra cosa che tengo a sottolineare è la poca disparità di guadagno tra la punta della piramide che sarei io e la base: a volte tra il cameriere e il direttore c'è uno scarto di 800 euro».
E sui ritmi di lavoro cosa dice? Spesso sono massacranti.
«Importante distinguere la stagione al mare e quella in montagna. La prima è molto più impegnativa, c'è caldo, si lavora tante ore. Qui da noi le ore sono quelle: un cameriere fa colazione e cena, al ricevimento ci sono i turni e non si sfora neanche di un minuto. Ciò che gode un po' più di flessibilità è il lavoro in cucina».
Che tipo di persone si candidano per lavorare da voi?
«Di base cerchiamo persone alla prima esperienza e giovanissime, in modo che riusciamo a formarle. La mia attuale capo ricevimento, che gestisce conti per milioni di euro, è una ragazza di 21 anni e ha iniziato quando ne aveva 18 senza saper fare niente. Le mie non sono parole al vento. Il mio maître ha 24 anni. Sta a noi dar loro il senso di sposare un progetto, un'idea. Quando parlo con i miei colleghi chiedo: voi lo fareste mai il cameriere? Io no, ma inserito in un determinato contesto cambiano molte cose».
Cosa chiedono i lavoratori?
«Lo stipendio è sempre la prima domanda, ma non ho mai avuto particolari problemi se non con i cuochi che stanno diventando un po' troppo pretenziosi».
E poi?
«Non vogliono stare in più di due in camera, richiesta ragionevole. Poi la mensa, che deve considerare le mutate esigenze. Tra cui intolleranze e allergie sempre più frequenti, scelte etiche (vegetariani, vegani) e religiose».
Sui giovani c'è la retorica degli sdraiati, che non hanno voglia di lavorare.
«Non è vero, non è vero. Ci sono anche quelli, ma non sono tutti così: diciamo metà e metà. Per dire, io a 18 anni non sono andato a lavorare, invece vedo ragazzi che si impegnano e penso sia cosa meritoria».
Secondo le stime di Unioncamere, in Veneto il 56% circa delle assunzioni nel turismo sono con contratto a tempo determinato e addirittura il 27% con il lavoro a chiamata.
«Noi contratti a chiamata non ne abbiamo. Su 62 dipendenti ho nove indeterminati, gli stagionali sono il resto. Va considerato però che qui la stagione è abbastanza lunga: da metà maggio a metà ottobre, da metà dicembre a metà marzo. Quindi i ragazzi sono ben contenti di farsi le loro ferie e avere la disoccupazione».
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