Una notte sopra lo strapiombo, ferito «Tutto il tempo concentrato sul dolore»

L’escursionista di Sedico racconta l’incidente del 16 giugno e vuole ringraziare tutta la macchina dei soccorsi 

IL RACCONTO

«Sto benissimo, non posso dire altro che questo, considerato quello che mi è capitato». In realtà Massimiliano Zampieri, di Vignole, non sta per niente bene, ha il bacino fratturato ed è ricoverato nel reparto di ortopedia a Belluno. Il suo “benissimo” è riferito al rischio corso tra domenica e lunedì scorsi quando è precipitato per 15 metri durante il rientro da una escursione sulla Pala Alta, restando tutta la notte ad aspettare l’arrivo dei soccorsi, fino all’alba quando è stato salvato.

Attraverso il Corriere delle Alpi vuole ringraziare, nel modo più ampio possibile, tutti coloro che hanno partecipato alle ricerche e al suo ritrovamento, avvenuto in maniera quasi fortunosa per l’intuizione di due uomini del Soccorso alpino. Mentre le ricerche si stavano concentrando lungo il Viaz dei camosci e dei cacciatori, percorso che Zampieri aveva annunciato alla famiglia di voler fare, loro si sono spostati molto più alto, circa trecento metri, pensando, a ragione, che l’alpinista di Sedico avesse sbagliato percorso. «Eccolo» hanno gridato i due, quando lo hanno visto su una piccola cengia di un paio di metri, con lo strapiombo sotto, a poca distanza.

«Erano più felici loro che io, penso di non averli nemmeno salutati, concentrato come ero sul dolore».

Grazie ai due soccorritori, dunque, ma non solo a loro. Grazie a tutte le squadre che hanno partecipato alle ricerche, ai piloti dell’elicottero, ai vigili del fuoco, al soccorso alpino, ai sanitari. Si commuove Zampieri mentre racconta di aver letto i messaggi whatsapp che durante la notte si sono scambiati i soccorritori. «Ci riposiamo un po’ e poi ricominciamo» scrivono i vigili del fuoco, e sono le 2.41 della notte.

Ma cosa è accaduto Massimiliano, domenica 16 giugno?

«Avevo in programma di fare un famoso Viaz, creato da Franco Miotto, detto dei “camorz e dei camorzieri” sulla Pala Alta. Ma dovevo fare solo un pezzo di questo percorso per una escursione di un giorno. E ho lasciato ai miei famigliari traccia del percorso. Ma quelle zone non sono molto frequentate e i segnali sono sbiaditi. Ho perso molto presto il sentiero, ma questo non è una cosa strana. In genere si torna indietro e si cerca il sentiero giusto, io invece sono andato avanti».

Come sei finito su una cengia dopo un volo di 15 metri?

«Dopo un po’ mi sono reso conto che non riuscivo a chiudere il percorso e ho deciso di tornare indietro, ho preso una cengia parallela al Viaz ma più in alto di 300 metri, non pensavo di essere arrivato così in alto. Ad un certo punto c’era una sporgenza, dovevo superarla sporgendomi nel vuoto. Mi sono tenuto ad un pezzo di roccia, ho fatto una leggerezza, non ho controllato che tenesse e mi si è sgretolata in mano».

E tu sei precipitato...

«Sì per 15 metri in verticale, è arrivato il primo impatto poi sono rimbalzato e rotolato in un canalino fermandomi su una cengia, con lo strapiombo sotto. Nella caduta purtroppo ho perso il cellulare che è rimasto alcuni metri sopra di me. Lo ho sentito suonare per tutto il giorno».

Sfortuna ha voluto che qualche minuto prima della caduta tu avessi contattato la famiglia per dire che andava tutto bene.

«Infatti erano le circa le 12 e io avevo appena mandato un messaggio ai miei per dire che andava tutto bene. Quindi le ricerche sono partite ore dopo».

Come erano le tue condizioni fisiche?

«Con il bacino rotto non riuscivo a muovermi, per fortuna avevo lo zaino e ho centellinato l’acqua che avevo portato con me. Ho passato tutto il tempo concentrato a cercare di capire come alleviare il dolore, sollevandomi e spostandomi piano piano per alleggerire il peso. Ero così impegnato che non ho pensato ad altro e questo è stato un bene».

Hai comunque pensato che i soccorsi sarebbero arrivati.

«Assolutamente sì, ne ero certo. All’alba ho sentito l’elicottero che sorvolava la zona, ma loro mi cercavano più in basso. Ho cercato di farmi vedere roteando una maglietta verde, ma l’elicottero se ne è andato. Era incazzato, ho provato ad utilizzare quella rabbia per tentare una risalita verso il telefono. Meglio non aver fatto nulla, rischiavo di fare peggio, di cadere o di peggiorare le ferite. Poi sono arrivati i due ragazzi del soccorso alpino. Grazie a loro e a tutti». —

Marcella Corrà

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi