Troppa burocrazia impedisce di formare un tecnico straniero

Michele Reolon presiede un’impresa che realizza il 90% del giro di affari in Africa «Avrei bisogno di un esperto in loco ma la normativa italiana me lo impedisce»
Belluno, 11 ottobre 2006, lMichele reolon
Belluno, 11 ottobre 2006, lMichele reolon

belluno

Aiutiamoli a casa loro? Impossibile. È significativa la testimonianza di un ingegnere bellunese che in Africa realizza il 90 per cento del proprio giro d’affari.

Michele Reolon, presidente di Enco Engineering Consultants, si occupa di progettazione e direzione lavori di piccole centrali idroelettriche in Tanzania, Kenya, Ruanda e Uganda. Da anni ogni mese lascia la famiglia a Trichiana e sale su un aereo per l’east Africa per monitorare l’andamento dei progetti del suo studio. Un lavoro che avrebbe bisogno di un esperto in loco e Reolon l’avrebbe anche trovato, ma da mesi non riesce a risolvere un problema che inizialmente sembrava banale. «Da marzo sto tentando di portare in Italia per tre settimane di formazione un ingegnere tanzaniano. Il nostro studio è interessato ad avviare con lui una collaborazione, aprendo un ufficio lì, dove è più facile seguire i lavori, senza la necessità di fare continui viaggi dall’Italia. Ma non si può».

Per portare l’ingegnere africano in Italia, infatti, esistono solo tre opzioni, due delle quali sono burocraticamente impossibili, mentre la terza crea un danno economico alla società. «Per venire in Italia con un permesso business», spiega Reolon, «il nostro collega dovrebbe avere una società, il relativo conto corrente e una carta di credito intestata alla stessa. Ma lui non ha una società, è un libero professionista come capita a molti ingeneri anche in Italia». Il periodo di formazione non esiste e la seconda opzione prevede, invece, il tirocinio. «Per il tirocinio abbiamo due problemi. Innanzitutto il tirocinio è di tre mesi, mentre a noi bastano tre settimane, ma non si può interrompere prima. Inoltre solo le aziende che hanno più di 5 dipendenti assunti a tempo indeterminato possono avere dei tirocinanti. Il nostro studio di ingegneri ha solo quattro dipendenti, sempre per il principio che nella maggior parte dei casi gli ingegneri sono liberi professionisti».

L’ultima opzione è quella di portare l’ingegnere tanzaniano in Italia con un permesso turistico: «Portare qui una persona ha un costo e vorrei detrarlo fiscalmente. Non è giusto che una persona con un lavoro consolidato e con una prospettiva ben definita non possa venire qui per un semplice breve periodo di formazione». Reolon aggiunge: «Noi non sappiamo più cosa fare e siamo sconcertati di vedere come il settore dell’export, che è quello che tiene in piedi le aziende italiane, sia così massacrato dalla burocrazia. Noi facciamo praticamente tutto il nostro fatturato in Africa, io mi sono adeguato a fare la valigia ogni mese e vorrei solo essere più operativo. In nessun altro Paese c’è un livello tale di burocrazia e penalizzazione dell’export, ma se iniziassimo a spostare all’estero le nostre attività, e quindi gli investimenti e le tasse, ci rimetteremmo tutti». —



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