Tre ore di comizio e nacque la Lega
Toscani ricorda: «Era il febbraio 1991, avevo 25 anni e una Uno diesel»

A destra un giovane Umberto Bossi sul palco del congresso fondativo della Lega Nord nel 1991 Qui sopra alcuni leghisti bellunesi nel 1994
BELLUNO.
L'8, il 9 e il 10 febbraio del 1991, a Pieve Emanuele, un anonimo paesello della cintura milanese, tra la nebbia e la neve, nacque la Lega Nord. Al congresso fondatore del movimento, furono chiamati i delegati di tutte le leghe presenti nel nord da anni, ma con scarsi risultati elettorali. Anche a Pieve Emanuele non tutti si resero conto di cosa stava succedendo, eppure oggi il Carroccio è, non solo il partito più vecchio presente in Parlamento, ma soprattutto una potente forza elettorale. Da Belluno partirono in sette, ma solo uno è ancora attivo nella Lega Nord (e anche lui ha vissuto un periodo di defaillance): Matteo Toscani, prima sindaco di Valle di Cadore e ora vicepresidente del consiglio regionale. Gli altri delegati erano Paolo Bambo, Doriano Cadorin, Novelio Scopel, Luciano Zannol, Franco Roccon e Pietro Da Rin Spalletta. Ognuno raggiunse Milano con mezzi propri e per tutti fu una mezza avventura. Toscani allora aveva 25 anni, una Fiat Uno bianca diesel e militava da quattro anni nella Liga Veneta. «Avevamo l'1% dei voti, ma un sacco di entusiasmo», racconta Toscani. «Il viaggio per arrivare a Milano fu lungo e pieno di insidie, ma l'occasione era speciale e mi sembrava di andare chissà dove». L'idea di mettere insieme tutte le lege fu di Umberto Bossi, indubbiamente il più carismatico tra i leader del nord, capace di richiamare in quel centro congressi oltre mille delegati e ospiti come il Partito sardo d'azione e i movimenti indipendentisti attivi in una penisola in costante fibrillazione. «C'era un'enorme incertezza», ricorda Toscani, «e io stesso era abbastanza pessimista, perché sembrava inimmaginabile scardinare il potere dei partiti della Prima Repubblica, ma si percepiva l'importanza dell'evento. L'effetto dirompente arrivò dal discorso di Bossi: un comizio di tre ore tipo Fidel Castro (risata, ndr), dai celti ai tempi moderni in un crescendo continuo». Il tema principale, manco a dirlo, fu il federalismo, ma in principio il concetto era diverso: tre repubbliche confederate in un unico Stato: «Ci accusavano di razzismo e nessuno immaginava un'Italia federale, parlarne era tabù. Noi della Liga bellunese facevamo riunioni quasi clandestine alla Rondine, in via Feltre, dove affittavamo una saletta in cinque o sei. Nelle occasioni speciali arrivavano Franco Rocchetta (il segretario) e Marinella Marin con una vecchia auto diesel fumosa per il mezzo milione di chilometri percorsi e carica di manifesti. La gente ci guardava male, eravamo i cattivi, ma in realtà volevamo solo cambiare le cose, rompere con il passato». Sul palco di Pieve Emanuele parlarono Speroni, Leoni, Castellazzi e tanti altri, l'età media era di circa quarant'anni e la sensazione era quella del salto verso l'ignoto: «Adesso è facile crederci, ma allora ci volle coraggio. Alla fine ci fu una grande festa, fu proclamato il nuovo partito e tornammo a casa carichi di motivazioni». L'unico gadget del congresso, a parte qualche foto, era la cartellina che conteneva programma e relazioni, era rossa con la scritta bianca: «L'ho regalata come augurio a Gianpaolo Bottacin quando è stato eletto in Provincia», conclude Toscani.
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