Tra Vittorio e Fadalto le barriere protettive sono già state sistemate

BELLUN0. L’iniziativa della Procura di Belluno è stata assunta sulla scia di quella della magistratura di Avellino riguardante le barriere laterali sulla rete di Autostrade per l’Italia e che, relativamente al Bellunese, coinvolge due brevi tratti di Ponte nelle Alpi.
Non sono, invece, di competenza bellunese i viadotti della Val Lapisina, di cui uno alto più di un centinaio di metri. Si sa, comunque, che proprio a seguito dell’incidente del 2013 di Monteforte Irpino, dove la sera del 28 luglio un pullman precipitò dal viadotto Acqualonga dell’A16 Napoli-Canosa, importanti lavori di messa in sicurezza delle barriere di protezione sono avvenuti anche lungo le due carreggiate – nord e sud – da Vittorio Veneto a Fadalto. Un cantiere che durò circa un anno. Pare che si fosse verificato qualche scrostamento di calcestruzzo, per cui affioravano dei ferri della maglia interna.
Puntuali lavori di riparazione e riqualificazione hanno comportato in definitiva anche un supplemento di sicurezza per le barriere: il tutto, a quanto pare, indipendentemente dalle indagini della Procura di Avellino, che adesso vorrebbe vederci chiaro anche sulle barriere laterali dei viadotti autostradali di Ponte nelle Alpi e Rio Salere.
L’avvio, ieri, di un’indagine da parte del procuratore Paolo Luca, non costituisce in ogni caso. una notizia reato. Non è da escludere che analoghe iniziative vengano intraprese da altre Procure. Quella di Avellino ha notificato ad Autostrade per l’Italia la richiesta di consegnare la documentazione sugli interventi effettuati sulle barriere laterali, in particolare sulla loro capacità di contenere gli urti dei veicoli.
I viadotti vittoriesi sono stati realizzati tra la fine degli anni’80 e l’inizio degli anni’90. Data la particolare fragilità della montagna, i lavori sono stati realizzati con un’attenzione quasi spasmodica alla sicurezza. Si pensi che le pile, alcune alte fino a 100 metri, vanno in profondità per 60 metri e che il calcestruzzo iniettato nel sottosuolo penetrava perfino in alcune sorgenti uscendo dall’altra parte della valle, come testimoniano i residenti. —
F.D.M.
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