Carenza di stagionali a Belluno: arrivano i lavoratori da Pakistan e Bangladesh
In provincia di Belluno mancano oltre mille stagionali in vista delle Olimpiadi: aumentano i lavoratori da Pakistan e Bangladesh, trainati dalla crisi di manodopera e dalla chiusura del serbatoio dell’Est europeo

A Belluno ci sono cucine e tavoli di ristoranti gestiti interamente da pakistani e bangladesi. E così nel resto della provincia, anche nell’accoglienza alberghiera. Mancano 600 stagionali già prima delle Olimpiadi. Con la riapertura degli alberghi in ristrutturazione, la carenza supererà quota mille. E infatti ne sta arrivando una nuova ondata.
Anche perché i collaboratori provenienti dai due Paesi sono i più ricercati, e si sta esaurendo il serbatoio dell’Est europeo, quello della Romania in particolare. E dal Sud America gli ingressi maturano col contagocce. Abam, da una parte, e Caritas dall’altra, sono pronte all’accompagnamento.
Lavoratori stagionali cercasi
Ma Gildo Trevisan, albergatore del Cadore e presidente del Consorzio Cadore, rilancia: «Per trovare stagionali dobbiamo pagarli 1000 euro in più al mese ma vanno defiscalizzati. E gli stranieri sono da trattare come gli italiani, a parità di prestazioni professionali».
I dati ufficiali contengono la loro presenza in poche centinaia di unità. All’inizio del 2024 – ultimi dati Istat – i bengladesi in provincia di Belluno erano 173 (in Veneto 21.809) di cui 54 a Feltre, 50 a Belluno, 17 in Alpago, 13 a Longarone, gli altri distribuiti in altri 11 Comuni. In cinque anni, cioè dal 2019, sono quintuplicati a Belluno, a Feltre sono aumentati da 3 a 54, in Alpago da 2 a 17.
I pakistani sono di poco meno numerosi: erano 168 un anno fa (8621 in Veneto). 48 a Belluno, 44 a Feltre, 11 a Pieve di Cadore, 10 a Ponte nelle Alpi, 9 a Limana. Negli ultimi anni sono più che raddoppiati nel capoluogo, altrettanto a Feltre, si sono invece ridotti ad un terzo a Borgo Valbelluna e non ci sono più a Domegge, dove erano una decina. Il sommerso, però, è molto più numeroso.
Rotta balcanica
Lo ammette anche Francesco D’Alfonso, direttore della Caritas diocesana, che segue le problematiche dell’integrazione e nel passato ha organizzato i corridoi umanitari dall’Afghanistan. «Pakistani e bangladesi sono due comunità in forte incremento. Arrivi e presenze sfuggono spesso alle statistiche ufficiali perché avvengono attraverso la Rotta Balcanica. Queste persone hanno di solito punti di riferimento nel territorio. Qui trovano alloggio, seppur inizialmente provvisorio, lavoro e permessi di soggiorno».
Andrea Fagherazzi, sindacalista della Fisascat Cisl, conferma che si tratta di personale lavorativo “serio, affidabile, che ha tanta voglia di fare” e che per questo motivo sta entrando nella simpatia del tipico datore di lavoro bellunese. Potrebbe essere, dunque, di queste due etnie il futuro della ricettività e della ristorazione post olimpiche? Potrebbe accadere, sentendo chi ha le mani in pasta, anche se sarebbe più affidabile una multiplicità etnica di collaborazioni. La ricerca, però, è sempre più complicata.
«Abbiamo qualche decina di figli o nipoti di oriundi che ogni anno si rendono disponibili a venire a lavorare in provincia, ma non siamo ancora in presenza di flussi organizzati», fa sapere il direttore dell’Associazione bellunesi nel Mondo, Marco Crepaz.
«Si stanno adoperando allo scopo l’Uniae, con l’Abm e con Confcommercio. Stavamo sperimentando corsi di lingua italiana e professionali, per agevolare eventuali rientri, ma è intervenuta una contrazione dei contributi. Però il nostro impegno si conferma in tutta la sua dimensione».
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