«Sono vivo, ma è ancora emergenza»

Dopo 17 giorni, padre Vittorio Cavallaro scrive agli amici: «La Casa dello studente è salva, abbiamo avuto paura»
Di Raffaele Scottini
A general view of the typhoon-damaged coastal town of Marabut of Eastern Samar Province, Philippines, 21 November 2013. ANSA/ROLEX DELA PENA
A general view of the typhoon-damaged coastal town of Marabut of Eastern Samar Province, Philippines, 21 November 2013. ANSA/ROLEX DELA PENA

FELTRE. La Casa dello studente nella città universitaria di Boranga, il progetto più recente realizzato da padre Vittorio Cavallaro grazie ai fondi raccolti dal Rotary Feltre, è in piedi. Come lui, che è sopravvissuto al tifone Haiyan nelle Filippine e domenica è riuscito a spedire una email all'amico di lunga data Giuseppe Nilandi, il feltrino che da sempre gestisce il conto corrente intestato al frate dove confluiscono i contributi per sostenere le sue opere missionarie e che nelle ultime settimane ha tenuto i contatti con la Farnesina per gli aggiornamenti della situazione, continuando nel frattempo a cercare di parlare direttamente con padre Cavallaro.

Il telefono era costantemente irraggiungibile, perché fra tutte le difficoltà nel Paese devastato dal tifone, c'è anche quella della carenza di elettricità che consiglia di preservare la batteria del cellulare. Ma quando Vittorio Cavallaro ha avuto accesso a un computer, ha scritto. «A Borongan la casa dello studente non ha sofferto danni. Solo un albero ci è caduto sopra, ma il tetto è rimasto intatto. Il tifone è cominciato alle 3 del mattino con un vento improvviso dalla velocità di circa 240 chilometri orari. Era impossibile dormire. Non mi è restato altre che pregare. Temevo che la casa da un momento all'altro venisse portata via o per lo meno scoperchiata. Il mare urlava da far paura e le onde hanno scavalcato la nuova diga che hanno fatto ed è arrivato fino a circa 100 metri dalla casa e portava su legni e alberi sradicati con tavole e travi delle case distrutte. Però tutti erano evacuati. Solo un grosso barcone si è capovolto al porto e di ventotto operai che erano dentro, cinque sono morti trasportati dalle onde che raggiungevano i dieci metri», il racconto del settantatreenne padre Canossiano, che dopo 35 anni da missionario a Jipapad nella giungla di Samar (la terza isola delle Filippine) si è spostato al raggiungimento dalla pensione a Borongan, città sulla costa, capoluogo della provincia di Eastern Samar. Almeno, «a Jipapad non vi sono stati danni», prosegue Vittorio Cavallaro nella sua email. «Il tifone Yolanda, cosi è chiamato qui, è stato il più pericoloso che abbia visto in 37 anni. L'hanno chiamato il tifone mostro perché ha impersonato il tifone, l'arikane e il tornado. A Tacloban ha alzato l'acqua del mare per 15 metri e poi scaraventata contro le case senza fermarsi per due ore. Il centro del tifone è passato sul mare. A Borongan è venuto solo vento che ha battuto le case per sei ore e mezzo. È venuto in pochi minuti ed è sparito in pochi minuti e poi è venuto fuori il sole. Ha distrutto la linea della luce elettrica e ha portato via ponti in costruzione. Ora siamo a corto di viveri, però pagando danno scatolame e riso. Anche i vegetali cominciano a scarseggiare», aggiunge il missionario feltrino. «Siamo senza benzina e se la vuoi, è a quattro volte il prezzo. Senza luce, arriverà fra qualche anno. Senza comunicazione. Gli impianti cellulari hanno sofferto grossi danni. Senza candele, sono state comperate tutte. Io ho la batteria della moto per un po' di luce e la faccio caricare in una famiglia che ha il generatore, però costa parecchio farla caricare. Chiedono quattro euro all'ora. Abbiamo finito anche le candele».

Adesso Vittorio Cavallaro è a Manila: «Sono qui per avere un po' di soldi dalla banca e anche per vedere se vi sono lanterne solari per la sera o qualche panello solare per caricare la batteria. Non so ancora cosa vengano a costare. Spero che la Provvidenza ci venga incontro per questo periodo che può essere lungo non meno di un anno», spiega. «Siamo stati isolati per tredici giorni. Niente veniva dentro e niente andava fuori. Tutto il cibo è andato al mercato nero. Solo un elicottero americano è venuto a Borongan. Tacloban, cuore delle isole Samar e Leyte, da dove veniva tutto il commercio, è stata completamente distrutta e abbandonata. I proprietari dei negozi si sono rifugiati a Catbalogan, Calbayog, Samar e Manila per paura di rappresaglie da parte dei banditi e assassini. Nonostante i morti, continuano ad ammazzare. A Tacloban adesso regna il terrore, però in questi ultimi giorni ci sono corriere che portano parenti e conoscenti delle vittime. Si parla di più di 10.000 morti. Le immondizie tengono ancora persone sepolte. Si teme lo scoppio di epidemie», conclude padre Vittorio Cavallaro, che nelle ultime righe si rivolge agli amici di qui: «Grazie per avere seguito la nostra situazione. Più avanti ti darò altre informazioni. Saluta tutti».

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