Sette giovani vite perse sessant’anni fa la tragedia più grave sulle Dolomiti

IL RICORDO
Sessanta anni fa, sull’Antelao, morivano tutti assieme sette ragazzi, precipitati per centinaia di metri nel Canalone Oppel. Alle 14 del 26 luglio 1960, per la precisione, come segnava l’orologio di Rosalba Melas, ritrovato per sempre fermo. È stata la tragedia in quota più grave verificatasi sulle Dolomiti.
L’ha ricostruita per conto del Cnsas veneto Michela Canova. Innanzitutto i nomi. Anna Galavotti avrebbe oggi 78 anni; ancora studentessa, era arrivata in vacanza a San Vito da Mirandola, Modena, e alloggiava a Villa Trieste. Così come il ventiseienne di Modena Alberto Pivetti, i cagliaritani Rosalba Melas e Paolo Pordocchi, 26 e 27 anni, la ventenne Odette Rossi, di Carpi, Romano Giovannoni ventunenne di Verona e Armantino Parolo, 28 anni, veronese di Montagnana.
Con loro avrebbe dovuto esserci anche Francesco Masetti. Per sorte non partecipò alla salita che costò la vita ai suoi amici e per sua iniziativa, cinquant’anni dopo, una lapide a memoria dei sette ragazzi è stata riposizionata al rifugio Galassi, sostituendo la prima posta sul muro della chiesetta e spezzata dal trascorrere inesorabile del tempo.
«Erano partiti da Villa Trieste il 25 luglio, nel pomeriggio, poco meno di tre ore di cammino e l’arrivo al rifugio Galassi: la sistemazione nelle camere, gli zaini aperti, una cena di chiacchiere e aspettative, gli ultimi preparativi e confronti per dissipare ogni dubbio sull’ascesa», racconta Canova, «la meta è la cima del gigante. Poi la buonanotte tra sorrisi emozionati, qualche ora di sonno, la sveglia; ci si prepara con pizzico di tensione, la porta del rifugio che si chiude alle spalle, un respiro profondo, ora si fa sul serio. Superano il ghiaione, attaccano la normale, si susseguono le cenge e inizia la traversata in cresta».
Il gruppo trova la neve che rallenta l’andatura, si ferma una manciata di minuti al bivacco Cosi, scrive qualche riga in fretta e furia sul libro dei visitatori.
«Gli amici ripartono, tutti legati alla stessa corda, ed è così assicurati che incrociano la guida sanvitese Gianni Bonafede, in discesa dalla vetta assieme a due clienti. Lui cerca di dissuaderli dal proseguire in un’unica cordata, ma i ragazzi si sentono molto sicuri».
Alle 13 sono in cima. Il tempo di ricaricarsi e si scende. Ed è all’altezza del Canale Oppel che la probabile scivolata di uno si trasforma nella discesa irrefrenabile di tutti, legati dalla stessa corda nello stesso destino.
I ragazzi non rientrano, i proprietari di Villa Trieste sentono i gestori del Galassi. Le squadre del Soccorso alpino di San Vito, all’alba del 27 luglio, salgono la Via normale con la speranza di trovarli all’interno del bivacco. Ma non ci sono. I soccorritori puntano alla cima e si scontrano con i pochi oggetti abbandonati nella caduta e nelle tracce senza scampo all’imbocco del Canalone Oppel. Allora non c’erano cellulari. Trovati o non trovati, venivano segnalati a valle con i bengala. Soccorso alpino, Alpini, Carabinieri si precipitano alla base del canale e lì li trovano ancora uniti assieme.
«Il nostro pensiero oggi va a loro e a tutti quelli che hanno perso la vita sull’Antelao», concludono i volontari del Soccorso alpino, attraverso la testimonianza di Canova. —
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