Semenzin: «Il suicidio non è una prova di coraggio»

FELTRE
Parlare del suicidio ha il potere di contrastarlo. Massimo Semenzin, direttore del dipartimento di salute mentale dell’Usl 2, lo ha fatto giovedì sera nella terza conferenza di “Agio e disagio” organizzata dalla Consulta allo Spazio giovani. Il tono della sua esposizione è stato duro, privo di eufemismi: «Il suicidio non è una colpa, né un peccato, né una vergogna; ma non è nemmeno un gesto da ammirare o un’espressione di coraggio». Disperazione, egocentrismo, follia, depravazione, affermazione di sé: qualunque sia il movente, l’esito del gesto è sempre il tragico incontro con la morte. Indispensabile è anche cercare di capire i segnali di disagio della persona, che a volte possono essere espliciti (due persone su tre di solito fanno presenti le loro intenzioni), per intervenire in tempo e prevenire una scelta irreversibile. Non tutti quelli che pensano di uccidersi sono sicuri di ciò che vogliono fare. E quelli che ci hanno già provato più facilmente ci ricascheranno. È in questo preambolo che è fondamentale l'appoggio dei medici di base, a cui i depressi spesso si rivolgono alla ricerca di un appiglio, un'ultima persona in grado di dar loro una ragione per vivere. Creare delle sinergie con la psichiatria è di un’importanza centrale per aiutare pazienti a rischio. Soprattutto in montagna, dove il loro numero è statisticamente più alto. Si parla, per tutta la penisola, di un’incidenza di 16,6 suicidi su 100 mila abitanti contro i 6-7 del resto d'Italia, e più spesso anziani. Ma per i giovani dai 15 ai 24 anni è la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali. L'aiuto psicologico è fondamentale: non solo quello professionale, ma anche quello quotidiano, affettivo, in grado di combattere le insicurezze e il disagio esistenziale. (f.v.)
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi