Querela contro ignoti per il cavo in pista ma l’Alpe si smarca

L’avvocato dello scialpinista ferito sta per andare in Procura Casagrande: «Il raccordo era chiuso per dei lavori in corso»



Denuncia contro ignoti per il cavo sulla pista. Sarà la procura della Repubblica a stabilire eventuali responsabilità per l’incidente capitato allo scialpinista Gianluca Rossi lunedì pomeriggio sul raccordo Brigata Cadore, tra le Faverghere e la pista Coca, in Nevegal. Chiamata in causa neanche tanto indirettamente, la società di gestione Alpe del Nevegal sostiene che quel tratto era chiuso al transito ed erano in corso dei lavori, ecco perché c’era un cavo da verricello di un gatto delle nevi sepolto sotto il manto bianco.

Il giorno dopo l’incidente da sette giorni di prognosi per lesioni alle gambe e a una spalla Rossi sta un po’ meglio, ma «mi sento come se fossi stato miracolato. Ho rischiato di morire e, in queste ore, ho ricevuto tantissimi messaggi da amici e altri scialpinisti. Ripeto che la pista era battuta e non c’era niente che indicasse un qualsiasi tipo di ostacolo, tanto meno quel cavo del diametro di tre centimetri, che mi ha fatto fare un volo di una ventina di metri».

Il medico ferito si è rivolto all’avvocato di fiducia Giorgio Gasperin: «Non abbiamo ancora presentato la querela per lesioni colpose, ma è quello che faremo nelle prossime ore, non appena avremo un quadro più chiaro della situazione. Quello che possiamo già dire è che esiste l’obbligo di segnalare gli ostacoli, ogni pista è classificata in una certa maniera e, se è chiusa, non si entra, dopo aver letto l’apposito cartello».

Cosa regola il traffico degli sciatori in Nevegal, come in tutte le altre stazioni invernali italiane? «Una serie di normative che regolamentano la circolazione sulle piste. Stiamo esaminando la situazione in fatto e in diritto, dopo di che ci muoveremo di conseguenza. Sarà la Procura a stabilire eventuali responsabilità per quello che è accaduto e poteva causare un decesso, da parte nostra la querela sarà al momento contro ignoti. Ma se una pista è interamente battuta, nulla vieta di imboccarla».

L’Alpe del Nevegal sostiene di non sapere niente di questo incidente, avvenuto alle 14 di lunedì. Non è stata informata e non è a conoscenza di eventuali iniziative legali da parte dell’infortunato. Il direttore Piero Casagrande fa sapere che «in ogni caso il raccordo Brigata Cadore era chiuso perché c’erano dei lavori in corso di svolgimento. Non si poteva passare di là e non è che non ci sia stata un’adeguata informazione in proposito, di questo sono certo».

Come comunica le chiusure delle piste Alpe del Nevegal? Perché Rossi e Gasperin dicono, invece, che il tragitto non era sbarrato: «Per sapere tutto basta andare sul nostro sito internet oppure rivolgersi all’ufficio skipass. Non mancano le possibilità di sapere in tempo reale dove si può andare e dove, invece, non è possibile passare. E poi nessuno ci ha detto niente sull’incidente e lo stesso Rossi non ha ritenuto di farci sapere qualcosa, una volta tornato a valle. Ho saputo dal giornale quello che è successo. Mi dispiace molto, naturalmente, ma non abbiamo alcuna responsabilità per quello che è accaduto».

Rossi e molti altri scialpinisti salgono lungo le Faverghere fino al Brigata Cadore e, per scendere, percorrono il raccordo con la Coca, una volta rimesse nello zaino le pelli di foca: «Niente da dire sul percorso delle Faverghere», osserva Casagrande, «nel senso che non si tratta di una pista e gli scialpinisti possono andarci, senza problemi. Diverso il discorso del raccordo, che come anticipavo era chiuso e, dunque, non transitabile. Non è un problema di segnalazione: bisogna informarsi prima di salire sulle piste». —





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