Patreider, il «re» dei robot
L'azienda è leader nel settore dell'automazione industriale

Thomas Patreider, il «re» dei robot; nelle altre foto, alcune immagini dell’attuale sede della ditta a Cima Gogna di Auronzo
PIEVE DI CADORE.
Un garage di 88 mq, un pc da 25 milioni di lire (più costoso dell'intera sede), una fresa e un tornio. Siamo nel 1991 ed è così che nasce la Patreider. Oggi l'azienda, che ha una sede di oltre 1.000 mq a Cima Gogna di Auronzo, produce robot che integrano sistemi di visione e controllo di qualità. Ma la vera visione, all'epoca, l'ebbe Thomas Patreider, oggi quarantottenne, il fondatore e titolare, appassionato di macchine fin da ragazzo. «Mi è sempre piaciuto progettare e, nel 1983, dopo gli studi superiori all'Iti di Bolzano, sono stato assunto da una nota azienda di Renon, cittadina dove sono nato, leader nel settore dolciario; ho iniziato a lavorare nell'ufficio tecnico, per seguire le manutenzioni delle macchine per confezionare biscotti wafer. Dopo due anni ero responsabile della struttura e mi occupavo anche dell'acquisto dei nuovi macchinari. L'obiettivo allora era automatizzare il flusso produttivo, limitando l'apporto manuale, per quanto possibile. Una bella sfida, e per me una bella esperienza». L'arrivo in Cadore è poi un fatto di cuore; il desiderio di avvicinarsi alla moglie Sonia, conosciuta durante il servizio militare, assolto fra i pompieri a Cortina. Da lì la decisione di mettersi in proprio, anche se all'inizio l'80% del fatturato veniva ancora dall'azienda in cui aveva iniziato a lavorare come dipendente, e con la quale il rapporto è proseguito fino ad oggi sulla base di una grande fiducia reciproca. «Quando ero interno all'azienda ero più impegnato nella gestione. Quando mi sono messo in proprio ho avuto più tempo per progettare. E così sono riuscito a meccanizzare il taglio ed il confezionamento di un prodotto particolare e delicato come il wafer. E da quel momento mi sono concentrato sempre di più su quello che mi piace: creare macchine che funzionano». Così oggi la Patreider, che nel 2010 ha vinto il premio Innovazione dell'Unioncamere del Veneto, opera nel settore dell'automazione industriale e fornisce robot chiavi in mano, partendo dalla realizzazione del progetto e dei componenti, dal montaggio fino all'installazione ed al collaudo nella sede del cliente, con servizio di assistenza completo. «Abbiamo l'ambizione di aiutare le imprese italiane a competere nel mercato globale. I nostri clienti? Sono aziende che, ad esempio, producono nell'industria alimentare una merendina in grandi quantità, oppure che hanno un prodotto che va personalizzato, come un occhiale, che può richiedere vari colori e vari modelli. I settori sono vari, dalla moda al dolciario alimentare, dall'occhialeria ai profumi, dal legno fino al settore automobilistico, dove abbiamo clienti che realizzano i componenti per automobili».
Un mercato vasto; e con la crisi come la mettiamo?
«Noi siamo passati dai 3 milioni di fatturato del 2009 al milione e settecentomila del 2010, che contiamo di replicare anche quest'anno. Ma il nostro fatturato dipende dalla produzione più che dalla vendita. Con i nostri 15 addetti non riusciamo oggi a seguire più di due o tre progetti contemporaneamente, perché si tratta di macchine complesse, la cui realizzazione può richiedere da 6 a 15 mesi, fra progettazione e consegna».
Concorrenza?
«Ce n'è indubbiamente, ma dà fastidio soprattutto chi, non avendo il know how necessario, si propone alla clientela con preventivi fuori mercato, anche ribassati del 40%, e così inquina il settore. Il vero problema però è che qualche anno fa si lavorava molto sulla fiducia, adesso invece vigono i preventivi, i tempi certi di consegna, il prezzo chiuso: tutte cose difficili da contemperare in un lavoro come il nostro che dà vita a macchine uniche, che necessitano proprio per questo di essere affinate progressivamente, testate e collaudate». Nell'obiettivo di Patreider c'è un allargamento del mercato, specie di quello di lingua tedesca, ma mantenendo una fisionomia di azienda forte di un prodotto unico. «Nessuna ambizione di fare macchine in serie, anche perché crescere in questo modo sarebbe impossibile ad Auronzo, dove non abbiamo un tessuto imprenditoriale in grado di garantire i fornitori necessari. Il nostro futuro resta nelle macchine su misura. Con pochi clienti, ma buoni».
E il personale?
«Il vero capitale di un'azienda sono i suoi collaboratori; il capitale umano crea il capitale economico e sono quindi fiducioso che in futuro riusciremo ad incrementare i nostri addetti, pescando soprattutto fra gli ingegneri meccanici che qui in Cadore facciamo fatica a trovare».
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