Non fu premeditato lo sparo contro De Lorenzo Dandola durante la battuta di caccia
Il legale di Claudio Alfarè Lovo puntualizza: «Le analisi dei files nel computer sequestrato non hanno rafforzato l'ipotesi d'accusa»

Sopra l’interno di un’aula del tribunale di Belluno sotto il pm Simone Marcon
COMELICO SUPERIORE.
Non vi fu nessuna premeditazione da parte dell'indagato. L'inchiesta chiusa nei giorni scorsi dal pubblico ministero Simone Marcon e che vede il giovane Claudio Alfarè Lovo, 20 anni di Santo Stefano, indagato con l'accusa di tentato omicidio nei confronti di Fabio De Lorenzo Dandola, 45 anni di Padola, durante una battuta di caccia, non prende in alcun modo in considerazione l'aggravante della premeditazione del gesto. L'accusa nei suoi confronti è di tentato omicidio, senza l'aggravante della premeditazione prevista dall'articolo 577 comma 1 del codice penale. Con lui è indagato per autocalunnia e favoreggiamento anche Lino Tortoi Zambelli, 71 anni, proprietario del fucile da cui uscì il colpo che centrò De Lorenzo Dandola.
Ora i difensori degli indagati, l'avvocato Massimo Benozzati per Alfarè Lovo e Valerio Piller Roner per Zambelli Tortoi, hanno 20 giorni di tempo per produrre ulteriori memorie difensive prima che il pubblico ministero Simone Marcon decida di chiedere il rinvio a giudizio. L'inchiesta prende avvio dal tragico fatto avvenuto il 20 novembre scorso quando, durante una battuta di caccia, fu ferito gravemente De Lorenzo Dandola con un colpo di fucile. Inizialmente fu Zambelli Tortoi, proprietario del fucile, ad autoaccusarsi. Poi emerse un 'altra verità. A sparare fu il giovane Alfarè Lovo, il figlio di Renzo, il cacciatore ucciso per sbaglio proprio da De Lorenzo Dandola, un mese prima, il 20 ottobre 2010. Inizialmente il giovane fu indagato per lesioni colpose. Nel febbraio scorso, il pubblico ministero ha cambiato l'ipotesi di accusa da lesioni colpose a tentato omicidio. Al giovane fu sequestrato un computer, dal quale, come precisa il suo legale, non emerse alcun minimo indizio che ne corroborasse l'accusa. «L'analisi dei "files" contenuti nel computer - precisa l'avvocato Benozzati - non ha in alcun modo rafforzato l'ipotesi accusatoria ma, al contrario, ha fornito elementi utili alla posizione dell'indagato». Ed in merito alle contestazioni del pm il legale puntualizza che si tratta di "un'ipotesi accusatoria in merito alla quale Alfarè Lovo, che continua fermamente a proclamarsi innocente, potrà fornire all'autorità giudiziaria, avanti alla quale avverrà il confronto, ulteriori elementi a sostegno dell'involontarietà e dell'accidentalità del fatto". «L'indagato - precisa inoltre l'avvocato Benozzati - è un giovane di 19 anni, sconvolto per la morte del padre e costretto, suo malgrado, a fronteggiare la pesantissima accusa di aver attentato alla vita di una persona per la quale nutre un profondo affetto, sentimento peraltro ricambiato e che i recenti tragici fatti hanno addirittura rafforzato».
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