Nel Bellunese 6 mila frane attive tra Alpago, Cadore e Comelico

Il geologo Luca Salti delinea la mappa del dissesto idrogeologico, attenzione anche ai fiumi soprattutto nelle confluenze tra Piave e Boite e tra Cordevole e Biois

BELLUNO. Le Dolomiti guardano con preoccupazione alle Prealpi, dove un evento meteorologico eccezionale ha trasformato una festa in un incubo di dolore e morte. Poteva succedere anche nel Bellunese? Difficile fare paragoni ma quel che è certo è che il territorio della provincia di Belluno è tra i più dinamici dal punto di vista idrogeologico. Viene tenuto costantemente monitorato grazie al progetto Iffi, Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia, un vero e proprio censimento delle frane aggiornato periodicamente.

I numeri del dissesto. Sono oltre 6 mila le frane attive nel Bellunese e raccolte nell’Iffi. Non sono tutte uguali. Alcune, come quelle che si verificano nella valle del Boite, viaggiano a circa dieci metri al secondo e sono tra le più veloci. Altre, come quelle in Alpago, sono invece delle colate: si muovono più lentamente ma sono capaci di spostare volumi consistenti di detriti. Ed ancora quella, enorme, del vicino Fadalto. Una frana di crollo, la più pericolosa perché velocissima ed imprevedibile. La provincia ospita alcune frane ormai diventate storiche ma ogni anno sono segnalati 200 nuovi movimenti franosi. «Quella di Belluno» spiega il geologo e assessore ai Lavori pubblici del Comune capoluogo Luca Salti, «è una provincia molto segnata dal dissesto idrogeologico. La situazione è dinamica».

La mappa. L’archivio messo in piedi grazie all’Iffi consente di delineare le dimensioni del fenomeno. A partire dall’Alpago, dove si concentrano alcune delle frane più importanti. Ad esempio quella del Tessina, nei pressi di Funes, attiva fin dagli anni ’60 e che misura sette milioni di metri cubi. Ed ancora quella di Mont nei dintorni di Chies e quella di Lamosano o quella del Borsoia. Il maltempo dell’inverno ha dimostrato quanto possa essere distruttivo un movimento franoso come quello di Cornei, in Valturcana, dove la lenta colata di fango ha fatto crollare una casa e reso impraticabile una strada. Anche il Comelico è una zona delicata dal punto di vista idrogeologico. I punti più delicati sono Costalta, Candide, Casamazzagno. Anche in questo caso non occorre andare molto indietro nel tempo per trovare un episodio franoso: a Sopalù, borgata di Comelico Superiore, poche settimane fa alcuni massi si sono staccati da una parete verticale investendo una legnaia. Un evento fortunatamente senza conseguenze per gli abitanti della vicina abitazione. Ed ancora la valle del Boite dove le frane si staccano invece dalle pareti dolomitiche. Borca è la più nota ma ci sono anche quelle di Chiappuzza, Acquabona di Cortina ed ancora a Fiames.

La potenza dell’acqua. A Refrontolo, dove il torrente Lierza ha inghiottito le vite di quattro persone, il vero problema è stato l’acqua. «I problemi sorgono all’altezza dell’intersezione tra due fiumi» continua Salti, «anche nel Bellunese ci sono punti critici». Ecco quali: in primo luogo l’intersezione tra il Piave e il Boite, quindi nella zona di Perarolo. E poi nella valle dei Biois: il torrente confluisce nel Cordevole all’altezza di Cencenighe, uno dei punti più delicati della rete fluviale. Belluno non è immune da rischi di carattere idrico, soprattutto nella zona di Lambioi e borgo Piave. Noti poi gli allagamenti nella zona di Paludi, in Alpago, un rischio indicato dallo stesso toponimo.

Coltivare o non coltivare? Il dibattito tiene banco in tutto il Veneto, e non solo. Nel mirino la coltivazione intensiva dei territori, colpevole secondo alcuni di favorire il dissesto idrogeologico. «I più pericolosi sono i terreni non frequentati e degradati» ribatte il geologo, «io sono convinto che sia necessario tener puliti gli appezzamenti. Bisogna riappropriarsi dei luoghi anche se va fatto in modo razionale e sostenibile». Priorità quindi alla pulizia dei boschi. «Nel trevigiano, dove sono rimasto bloccato insieme al sindaco Massaro la notte della tragedia, molte frane sono cadute sulla strada proprio a causa del peso delle piante. E gli alberi sono stati la causa anche di ostruzioni nei torrenti di fondovalle con un pericoloso effetto diga. Un tempo non era così, bisogna tornare a vivere i luoghi».

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