Negozi e attività in crisi: perse 344 imprese nel Bellunese

I dati diffusi dalla Camera di commercio di Milano indicano un calo del 2,4%. Mario Pozza: «Manca ricambio giovanile»

BELLUNO. Gli effetti dello spopolamento sono molto gravi anche sul piano economico. La provincia di Belluno è fra quelle del Veneto dove sono maggiormente diminuite le imprese attive nel raffronto tra il terzo trimestre di quest’anno e lo stesso periodo dell’anno precedente. Belluno fa segnare un calo del 2,4 percento, contro una media dello 0,4; solo Rovigo arriva allo 0,9. Un arretramento, dunque, pesantissimo.

Le aziende attive in provincia a fine settembre erano 14.143, l’anno scorso, alla stessa data, risultavano 14.487. Gli addetti sono 57.458. I dati sono stati forniti dalla Camera di commercio Milano Monzabrianza Lodi. Subito dopo l’Epifania, anche l’ente camerale presieduto da Mario Pozza provvederà a rendere noti i dati.

«E si tratta, in un caso come nell’altro – precisa Pozza – non di stime ma di numeri che corrispondono esattamente alla realtà dei fatti». Per la verità, avverte Luca Barbini, presidente di Confindustria Belluno Dolomiti, «la nostra associazione dispone di dati più rassicuranti, che dimostrano che le industrie, tutto sommato, stanno tenendo e che numerose registrano ottime performance».

Pozza chiarisce subito che, in verità, a mancare è il ricambio delle microimprese, specie quelle familiari, e di tante partite Iva. «A chiudere sono le aziende di servizio che in provincia non hanno più mercato – spiega Pozza – a causa dello spopolamento che desertifica non solo i paesi in quota, ma anche quelli a valle».

La Camera di Commercio produrrà, per l’incontro in programma dopo l’Epifania, un’analisi puntuale della situazione, indicando dove sta avvenendo il calo. E quindi, anticipa Pozza, quali possono essere le misure di contrasto. Per il presidente della Cciaa c’è da preoccuparsi per una deriva culturale, prima ancora che economica.

«Riscontriamo che nelle piccole imprese non c’è ricambio giovanile, perché i nostri ragazzi stanno convincendosi che si può vivere a prescindere dal fare impresa, dal sacrificio che essa richiede», aggiunge Pozza. «Il reddito di cittadinanza, al di là delle buone intenzioni con cui è stato promosso, sta dando l’idea che ci si possa accomodare sul divano ed aspettare. Intanto le nostre comunità muoiono».

Via i negozi, chiude la parrucchiera, l’idraulico va in pensione. E, purtroppo, anche la partita Iva perde la voglia di scommettere ulteriormente. «È una deriva favorita anche dalla burocrazia che, nonostante tutte le promesse, continua ad incrementarsi», insiste il presidente della Camera di Commercio.

Barbini, dal canto suo, confessa che i colleghi imprenditori sono sempre più preoccupati perché, spiega, non vedono una svolta nelle politiche del governo. «Le nostre aziende soffrono della carenza di infrastrutture materiali ed immateriali (mi riferisco, ancora una volta, alla banda larga)», sottolinea il presidente di Confindustria, «e riscontrano che i giorni passano senza che nulla si muova al riguardo. E pure senza che si alleggerisca almeno la burocrazia».

Sia Pozza che Barbini si dicono costretti a sperare che l’inversione di tendenza possa arrivare dalla disgrazia, guarda caso dalla distruzione del maltempo. «Abbiamo la ricostruzione da fronteggiare, i boschi da pulire e da reimpiantare, per cui – afferma Pozza – qualche opportunità di lavoro ci dovrebbe essere. Ma io continuo a ricevere chiamate da imprese forestali da tutta Italia, interessate a salire in provincia, mentre in questo territorio non trovo chissà quale interesse».

«Non vorrei che il virus della sfiducia minasse anche il nostro capitale umano – conclude a tal riguardo Luca Barbini – che ha dato dimostrazione di una vitalità unica nel post emergenza. Prima che sia troppo tardi va vinta la rassegnazione che provoca l’isolamento e lo spopolamento». 

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