Marmolada, montagna esemplare

Un nuovo libro racconta la storia e l'attualità della Regina delle Dolomiti
La Marmolada in una mappa del 1876
La Marmolada in una mappa del 1876
Amelia Edwards ci vedeva una "mano possente che artiglia la roccia", l'abate Stoppani "un cappello napoleonico", Gilbert e Churchill "un astuccio di mogano per articoli di cancelleria". Per Wolff era "il trono della Samblana" regina dell'inverno, per Buzzati la "montagna perfetta" (ma perfetta per lo sci). Se nella Marmolada ognuno vede ciò che vuole, a seconda dei tempi, passando dal sublime al pittoresco al banalmente utilitaristico con ciò creando e divorando ogni possibile mito, è però un fatto che per molti motivi quella montagna di ghiaccio è il simbolo delle Dolomiti: non a caso è detta la Regina.  Attorno ad essa si incrociano tutti i nodi, le storie, gli approcci possibili: è la montagna sublime, ma è anche la montagna della guerra, vi troviamo il rosa dell'enrosadira ma anche il rosso del sangue e l'azzurro del ghiaccio che troppo spesso ormai trascolora in grigio sporco; è la montagna delle fiabe (storie mitiche che il gusto romantico, sulle orme dei Grimm, ha tradotto in letteratura) ma è anche il terreno privilegiato di saccheggio da parte di un dissacrante e devastante modello di sviluppo; è la montagna dei ghiacci (sempre meno) eterni, ma anche la fonte di acque rapinate, drenate, forzate in condotte che non scorrono più libere verso l'Avisio e il Cordevole; vi sono passati i primi "touristi" inglesi, oggi è presa d'assalto dalle truppe del turismo di massa; è montagna di confine, dunque di incontri e di scontri tra popolazioni e culture; è montagna precipite a sud, teatro di ardite imprese alpinistiche, e montagna più declive a nord. Possiamo riassumere: è montagna poliedrica sia nella realtà che nell'immaginario.  Descrivere la Marmolada è dunque difficile, perché non si fa intrappolare in un'unica definizione. Non a caso la bibliografia sulla Marmolada è ricca, ma frammentata per approcci settoriali e specialistici. Ora un libro per la prima volta la valuta nella sua complessità, non si sofferma sul massiccio ma considera il gruppo nel suo insieme, non si limita alla geologia, o all'alpinismo, o alla storia, ma spazia anche sui versanti dell'antropologia, dell'iconografia, dell'economia, della vita delle popolazioni della montagna. Edito da Cierre in collaborazione con il Dipartimento di geografia dell'università di Padova, si avvale di uno staff molto qualificato di esperti e di un apparato iconografico eccezionale. "Marmolada" (381 pagine, 45 euro) è il terzo anello della collana "Terre Alte", che ha già ospitato due importanti volumi: "I Colli Euganei" e "L'Altopiano dei Sette Comuni".  Il progetto è analogo, è cioè un approccio globale a una storia che affonda nelle ere geologiche, quando la Marmolada era un atollo, passa per epoche oscure e leggendarie, e poi per quelle in cui le Alpi erano ancora centrali, per il declino di quella centralità, per l'emarginazione della montagna, per lo sfruttamento intensivo dei fasti del turismo di massa nel secondo dopoguerra, approda agli ultimi decenni segnati dal progressivo declino di quel tipo di sviluppo, infine al laboratorio ambientale e climatico dei giorni nostri, alla prospettiva possibile di un diverso futuro per la montagna attestata anche dall'inserimento nella lista del'Unesco. Proprio in virtù di questa sua storia complessa la Marmolada riassume in sé tutti i fasti e nefasti della articolata relazione tra l'uomo e la montagna.  Su quei versanti, fatti di roccia verticale da una parte, ghiaccio dall'altra, si sono confrontate prospettive diverse, spesso contrapposte, comuni a larga parte delle Dolomiti ma più esplicite, più incisive proprio qui. Qui, per la prima volta, si è teorizzata la montagna come terreno di gioco. Qui è stata realizzata la prima seggiovia in Italia. Qui si è piantato il primo split, si è documentato il primo sesto grado italiano, si è fatto il primo slalom gigante. Qui più che altrove nelle Dolomiti (o forse più visibilmente che altrove) si è spinta agli estremi la "conquista" del territorio da parte dei grandi operatori turistici. Ma qui, per la prima volta, sono anche stati sanzionati pesanti comportamenti lesivi del paesaggio ed è stato riconosciuto ad associazioni ambientaliste (Mountain Wilderness) il diritto a un risarcimento morale. E qui è anche più evidente, palpabile, quel senso di spaesamento di cui parla Annibale Salsa a proposito delle comunità alpine, sopraffatte dall'alluvione delle seconde case e dei fiumi turistici che hanno stravolto non solo le attività tradizionali, ma gli stessi valori e stili di vita.  Il libro della Cierre ne dà conto con scrupolo attraverso contributi dei maggiori esperti, sia che si tratti del ruolo di questo territorio come luogo aperto di incontro tra popolazioni italiane, tedesche e ladine, di scambio di merci e di pensieri, sia che si parli della "Città di ghiaccio" costruita nella prima Guerra mondiale, o ancora degli albori del turismo, delle prime ascensioni eroiche, della "guerra dei confini" fra Trento e Belluno, degli impianti idroelettrici della Fedaia, delle strutture sciistiche, delle discariche abusive, degli scempi "stradali" sul ghiacciaio, ora in ritiro e in forte sofferenza a causa del cambiamento climatico.  Anche la Marmolada è stata stretta d'assedio, capitolando di fronte all'arrembaggio di quella società urbana e industriale che nel mondo diverso delle Terre Alte distingue solo un terreno di gioco o un terreno d'affari. Una penetrazione talvolta violenta, sempre pervasiva, che ha ridotto tradizioni vitali a folclore e i montanari a comparse in costume.  Se ne può uscire, e come? Forse proprio l'esaurirsi della materia prima - cioè la natura e l'ambiente - ridotta a merce, consumata e dissipata, getta ora le basi per uno sviluppo più rispettoso ed equilibrato. Anche per questo la Marmolada è considerata una montagna esemplare. Dei molti autori, ci piace citare un passo di Luisa Bonesio, col quale si chiude il libro: «E' proprio nell'irresistibile potere di cancellazione e omologazione delle culture montane da parte del modernismo industriale e dei suoi stili di consumo urbano, trionfatore nella roccaforte alpina degli ideali di libertà e autonomia, che risiede una delle cause fondamentali della fine o del forte degrado delle singolarità e dei contesti più spettacolari del mondo delle vette».  E dunque «non resta che fare un passo indietro, un passo fondamentale per l'umanità e tutte le forme di vita della Terra; non resta che scendere dalle montagne, e restituire loro spazio, silenzio, distanza e rispetto».

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