Oss cercasi, più incentivi ma pochi alloggi: il Bellunese fatica ad attrarre operatori

Nonostante stipendi più competitivi e benefit, resta alta la fuga degli operatori socio sanitari. Boito (Longarone Zoldo): «Serve promuovere la professione e investire su case per chi arriva da fuori»

Stefano De Barba

Tra incentivi offerti dalle case di riposo e rinnovo migliorativo del contratto di lavoro, lo stipendio da Oss è diventato più attrattivo anche a confronto con quelli delle occhialerie.

Ma non basta per frenare il continuo va e vieni degli operatori socio sanitari che arrivano da fuori, restano pochi mesi e poi se ne vanno: il territorio deve fare di più per offrire abitazioni a chi si trasferisce da fuori e deve anche raccontare meglio ai giovani bellunesi che quello dell’Oss è un lavoro che può dare molte soddisfazioni.

Lo spiega Arrigo Boito, direttore dell’azienda speciale Servizi alla persona Longarone Zoldo, facendo il punto sul problema ormai annoso della carenza di operatori socio sanitari nelle strutture per anziani.

Lo fa da un osservatorio privilegiato, quello di direttore sia dell’azienda Longarone Zoldo – che da poche settimane ha visto associarsi in consorzio anche l’Alpago – sia della Limana servizi.

Proprio l’azienda Longarone Zoldo ha lanciato un nuovo bando per assumere Oss a tempo pieno e indeterminato (la scadenza è al 22 maggio).

Mettendo sul piatto una offerta che parte da un trattamento economico lordo annuo di 20.855 euro, a cui aggiungere un buono pasto da 8 euro netti (ovvero fino a 2.496 euro netti in più all’anno), la possibilità di alloggio in appartamenti dell’azienda per chi non è residente, l’accesso al welfare aziendale che negli ultimi quattro anni ha erogato in media 1.900 euro all’anno a persona), la banca ore con possibilità di liquidazione su richiesta.

«Il pacchetto di benefici che offriamo è ricchissimo, è probabilmente il più ricco del territorio», sottolinea Boito, «ma il tema vero è un altro: le persone che vengono da fuori a lavorare da noi non si stabilizzano sul territorio. E noi siamo costantemente alla ricerca di personale perché c’è un costante turnover, il personale rimane pochi mesi per trasferirsi poi in altre zone».

Un problema esploso all’epoca della pandemia di Covid, sottolinea Boito, e che da allora fa penare aziende speciali e amministrazioni comunali.

«La crisi è nata quando le aziende sanitarie del Sud hanno potuto fare le assunzioni che prima erano bloccate», spiega, «quindi le persone che lavoravano da noi sono tornate verso casa ed è in quel momento che è scoppiato il problema, latente già da tempo. La vera questione è che non c’è una offerta di Oss del territorio sufficiente a coprire il fabbisogno di personale, così come non ci sono sul territorio alloggi in quantità utile per permettere a chi viene da fuori di trovare una sistemazione stabile, che favorirebbe una permanenza più lunga».

I posti letto messi a disposizione dalle aziende di gestione delle case di riposo in appartamenti da più persone, come la Longarone Zoldo, sono infatti solo un palliativo: «È vero che offriamo alloggi gratuitamente», spiega Boito, «ma parliamo di lavoratori di 40-50 anni, che si trovano lontano da casa a convivere con persone estranee, facendo insomma una vita da universitari. E se a 20 anni può essere divertente, a 50 non lo è più. Noi abbiamo 22 posti a disposizione ma non abbiano naturalmente 22 case singole: abbiamo ad esempio una casa con 7 letti, altre con 3-4 posti».

Un quadro che si appesantisce con l’aumentare delle distanze: «Più periferica è la struttura», allarga le braccia Boito, «più difficile è convincere il personale a venire da noi e più difficoltà ha a trovare una casa per conto proprio. A Limana ad esempio abbiamo 5 posti letto garantiti per il personale, ma non li abbiamo occupati perché in zona c’è maggiore disponibilità di alloggi in affitto».

E fare come sta facendo proprio in queste settimane la casa di riposo Villa San Giuseppe di Livinallongo, che si è organizzata al proprio interno un corso di formazione per Oss, aperto a tutti ma chiaramente pensato per formare giovani residenti nella vallata o nei paraggi?

«È una lodevole iniziativa», commenta il direttore della Servizi alla persona Longarone Zoldo , «ma credo che il presupposto sia quello di avere già una disponibilità di persone interessate a fare l’Oss, mentre ci sono territori che non producono nessuna candidatura. Anche noi offriamo il corso di formazione gratuito, ma non abbiamo candidature di persone che vogliono fare questo percorso».

I motivi? Da una parte il settore sociale, nel Bellunese, soffre la ricchezza del distretto dell’occhiale, «anche se ora grazie al rinnovo del contratto gli stipendi da Oss hanno una loro dignità rispetto all’occhialeria», sottolinea Boito, «e tutte le aziende si sono attrezzate con incentivi importanti».

Dall’altro lato c’è il fatto che, rimarca il direttore dell’azienda speciale, «per fare un lavoro che si basa sul rapporto con le persone fragili serve comunque una vocazione».

Una vocazione che in qualche modo le istituzioni del territorio dovrebbero incentivare. «Ne stiamo ragionando da tempo anche in sede di piano di zona», rimarca Boito, «per fare una promozione adeguata del ruolo di operatore socio sanitario, che anche a causa della pandemia si è trovato con una immagine non adeguata. È un lavoro fatto di relazioni, di rapporti con le persone, che può dare grandi soddisfazioni a chi lo sceglie. Per questo stiamo pensando a come, semplicemente, spiegare bene ai giovani del nostro territorio com’è fatto veramente questo lavoro. Mentre per quanto riguarda gli Oss che arrivano da fuori, l’unica soluzione è quella di incentivare la disponibilità di appartamenti. Purtroppo su questo aspetto ci sono dati impietosi anche per i bellunesi che cercano casa, dunque serve una concertazione di ampio respiro».

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