L’idea shock di Coldiretti: mille laghi in più Ma federazione provinciale e Cai dicono no

la proposta
Mille laghetti sulle montagne italiane per garantire l’acqua all’agricoltura. La proposta arriva da Coldiretti nazionale, che ha stimato un preventivo di 1,8 miliardi da ricavare all’interno del Recovery Fund, nell’ambito della transizione ecologica. Il punto di partenza di Coldiretti è il rischio dato dai cambiamenti climatici, che stanno riducendo la risorsa acqua, oltre a causare calamità naturali, dissesti idrogeologici ma anche insicurezza alimentare. Gli invasi, inoltre, sarebbero utili per fronteggiare gli incendi, oltre che per produrre energia.
La proposta di Coldiretti non entra nel dettaglio di un piano e non ci sono progetti ritagliati sui territori, ma ha già incontrato il favore di Enel, Terna, Eni, Anbi e Cdp.
Al contrario, a livello territoriale, c’è chi pensa che in montagna ci siano già parecchi invasi, almeno per quanto riguarda la provincia di Belluno.
«Qui abbiamo avuto brutte esperienze con i laghi, questa è la provincia del Vajont», sottolinea il presidente di Coldiretti Belluno, Alessandro De Rocco. «Non è il caso di venire qui a parlare di nuovi laghi artificiali e io credo che tra le nostre montagne di invasi ce ne siano già abbastanza e non ne servano altri». De Rocco si concentra su quanto c’è già: «Il problema dei nostri laghi è che con il tempo si sono riempiti di materiale e andrebbero drenati per aumentare la loro capacità di invaso, oltre che la loro produttività in termini energetici. Ripulire i nostri laghi per incrementare la capacità di stoccaggio è quello che bisognerebbe fare come prima cosa».
I problemi evidenziati da Coldiretti, infatti, sono oggettivi, ma per De Rocco lavorare su quello che c’è sarebbe una soluzione efficace e di minor impatto. «La proposta di Coldiretti è stata mossa a livello nazionale, perché in molti territori c’è un reale bisogno di creare bacini di contenimento a scopo irriguo. I cambiamenti climatici stanno peggiorando la situazione e creare scorte d’acqua non è secondario e può essere utile a tutti», osserva ancora il presidente provinciale, «ma più che costruire altri invasi artificiali sulle montagne, dovremmo pensare di utilizzare le cave dismesse e soluzioni a basso impatto. L’autosufficienza alimentare è essenziale per un Paese e il Covid ce lo ha dimostrato, ma bisogna cercare di capire come fare evitando di andare contro la natura. Ribadisco: prima svuotiamo i laghi che ci sono».
Le parole di De Rocco sono in linea con quelle del Cai che, dopo aver letto il piano di Coldiretti, ieri ha rivolto un appello al governo bocciando la proposta. «Alcuni colossi del mondo agricolo, dell’energia e della finanza pubblica», scrive il Cai nel suo appello, «propongono al governo di investire 1, 8 miliardi di euro del Pnrr regimentando le acque di montagna e raccogliendole in mille laghi artificiali, ai fini di garantire disponibilità idrica all’agricoltura e alla produzione di energia, sostenendo che migliorerà il valore paesaggistico dei territori. Mille nuovi invasi sono invece un fattore di desertificazione delle terre alte e sottraggono loro risorse idriche a beneficio solo di chi sta a valle. Inoltre non producono migliorie al territorio e risorse idriche contro gli incendi: esattamente il contrario. Se il governo accettasse questa proposta sarebbe un colpo alla permanenza dell’uomo in montagna. Infatti tanto ambiente sarebbe sacrificato a beneficio di pochi noti, senza ricadute in favore di chi abita in montagna, né di chi la frequenta», rileva il vicepresidente del Club alpino italiano Erminio Quartiani.
«Ci sono decine di grandi dighe in Italia che vanno verso il fine vita», sottolinea il presidente generale del Cai, Vincenzo Torti, «altre che non sono dotate di sistemi di pompaggio e fuori mercato. Innovativo e utile socialmente ed economicamente sarebbe un serio progetto per usare questo patrimonio di dighe in via di dismissione, riconvertendole ad uso agricolo, irriguo e energetico per il consumo localmente circoscritto, restituendole ai territori e alle loro comunità montane, alle quali sono state sottratte nel secolo scorso ingenti porzioni di suolo montano a scopo energetico per alimentare lo sviluppo industriale dell’intero paese, senza compensazioni economiche e ambientali significative. Non commettiamo lo stesso errore del secolo scorso, in condizioni climatiche, economiche e demografiche peggiori rispetto al passato e per la montagna in condizioni economiche già molto compromesse». —
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