Lega nella bufera, il politologo Feltrin: "Finiranno come il Psi"

Parla il docente di Scienza della Politica, Paolo Feltrin: «Triumvirato scelta troppo debole, occorreva un ricambio generazionale. La Lega avrebbe dimostrato più coraggio nominando Tosi, Cota o Zaia»
Agostini Interpress Venezia, 14.09.2008.- Festa dei popoli Padani.- Circa 18.000 leghisti arrivati da tutta Italia per appuntamento annuale in Riva dei 7 Martiri.-
Agostini Interpress Venezia, 14.09.2008.- Festa dei popoli Padani.- Circa 18.000 leghisti arrivati da tutta Italia per appuntamento annuale in Riva dei 7 Martiri.-

TREVISO. «La scelta del triumvirato è così debole che mostra plasticamente lo stato di indecisione strategica del gruppo dirigente. Avrebbero dimostrato più coraggio nominando un Cota, uno Zaia o un Tosi, che almeno appartengono a una generazione diversa da quella di Bossi e Maroni. E invece così la Lega Nord rischia davvero di fare la fine del Partito socialista italiano».

Paolo Feltrin, trevigiano, docente di scienza della politica all’università di Trieste, non è ottimista sul futuro del Carroccio: prevede una caduta verticale del consenso e un balzo, alle amministrative, dei grillini. Ma per l’Italia bisogna pensare a una «nuova stagione» dove il populismo venga sostituito dalla competenza.

Professore, con le dimissioni di Bossi si può archiviare la Seconda Repubblica?
«La Seconda Repubblica muore col governo dei tecnici, con l’incapacità della politica di dare delle risposte al paese. L’innesco, in sè banale, è legato all’impiego dei fondi del finanziamento pubblico. Ma su questo, chi è senza peccato scagli la prima pietra».

Vuol dire che si tratta, in fondo, di peccati veniali?
«La prima lezione di questa vicenda è una riflessione generale: in vent’anni non si è fatta una legge sul finanziamento ai partiti. E quel che è accaduto nel 1992 ritorna. Segnalo solo due ambiguità: tutti i soldi dei rimborsi elettorali vengono assegnati alla sede nazionale dei partiti; non ci sono regole su come devono essere impiegati e rendicontati questi denari. Per risolvere questa anomalia, bisognerebbe distribuire sul territorio i soldi così da aumentare i controlli, rendere obbligatoria la rendicontazione e definire quali spese possono essere sostenute e quali no. Solo così usciamo dall’equivoco perchè sui finanziamenti ai partiti chi è senza peccato...»

La tegola colpisce direttamente la Lega, che appare allo sbando. E’ così?
«L’innesco è banale, ma le contraddizioni sono di lungo periodo. La Lega cade su tre contraddizioni. La prima: la conclamata diversità berlingueriana, quella del “noi non siamo come gli altri”. Una volta che si scopre che non è così, la ferita fa più male. La seconda: come tutti i partiti lideristici non ha chiarito le modalità di ricambio della sua classe dirigente, scivolando in una gerontocrazia dai contorni nepotistici. La terza: non è mai riuscita a sciogliere il dilemma tra partito regionale e partito nazionale. Ha dovuto inventarsi la secessione, con i risultati che conosciamo».

Roberto Maroni indica da tempo la strada di un partito sul modello della Csu bavarese: un partito maggioritario nel territorio e alleato con un partito nazionale in condizioni di pari dignità.
«Ma in Baviera i democratici della Csu prima sono tedeschi, poi bavaresi. Da noi l’intuizione di Bossi di federare tutti i movimenti è stata geniale, ma doveva essere accompagnata dall’ambizione di fare un partito del nord a vocazione nazionale. Su questa contraddizione, mai risolta, si è logorata la Lega. Mi chiedo davvero se la strategia di Maroni, oggi, sia politicamente agibile. Se sia praticabile un’idea di partito del nord senza ampolle, senza dio Po, senza gli elmi?»

Che cosa può accadere ora?
«Per la Lega il bivio è drammatico. Stanno venendo al pettine tutti i nodi irrisolti da vent’anni a questa parte. Ho l’impressione che stia imboccando un vicolo cieco, la scelta del triumvirato è debole, figlia di un drammatico indecisionismo strategico. Per questo dico che la Lega davvero corre il rischio di fare la fine del Psi».

E l’Italia dove sta andando?
«All’Italia servono ora classi dirigenti avvedute, che sappiano coniugare consenso e sacrifici: è il tentativo di costruire, attorno al governo Monti, un modello valido anche nella prossima legislatura. Il populismo deve lasciare posto alle competenze. Politici che guardino alle prossime generazioni, non alle prossime elezioni»

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