Le ombre alpagote d’autunno nella Fuga in Egitto di Tiziano

VENEZIA. Immagini di montagne dolomitiche, dai contorni riconoscibili oppure solo sognanti simboli di un paradiso perduto, compaiono spesso nei quadri di Tiziano, cosicché da secoli ormai gli studiosi dibattono sulla possibile identificazione di pinnacoli, creste e catene intere usciti dal suo pennello.
E proprio l’opera che viene considerata esemplare per siffatta valorizzazione del paesaggio, primo capolavoro di grandi dimensioni del maestro cadorino, di proprietà dell’Ermitage di S. Pietroburgo, è la protagonista assoluta della mostra “Il Tiziano mai visto. La fuga in Egitto e la grande pittura veneta”, allestita alle Gallerie dell’Accademia di Venezia fino al 2 dicembre.
La rassegna, curata da Giuseppe Pavanello e Irina Artemieva, è promossa dalla soprintendenza per il Polo museale della città di Venezia e dal museo statale Ermitage, con la collaborazione della National Gallery di Londra e della Fondazione Ermitage Italia.
“La Fuga in Egitto” (cm 206 x 336) è un olio su tela che arriva in laguna dalla National Gallery di Londra, dove è stato esposto dopo un restauro durato 12 anni, e si presenta con l’eccezionale corteggio di altre opere di maestri del Rinascimento, quali Bellini, Giorgione, Cima da Conegliano, Sebastiano del Piombo e Dürer. Il grande telero, databile al 1507, commissionato da Andrea Loredan per il suo palazzo sul Canal Grande, rappresenta in un dolce paesaggio pastorale la scena della Fuga in Egitto come descritta nel Vangelo di Matteo (2,13-15), ma il ragazzo che porta il mulo è forse San Giovannino, che avrebbe incontrato Gesù nel deserto secondo una tradizione derivata dai Vangeli apocrifi.
Il quadro, capolavoro di un Tiziano che aveva già lasciato la bottega di Bellini per quella di Giorgione, prese la via della reggia zarista dell’Ermitage di S. Pietroburgo nel 1768 e ritorna oggi all’Accademia insieme ad un’altra opera tizianesca di proprietà russa, ovvero la “Sacra Famiglia”.
Il soggetto è trattato con semplicità quotidiana, con S. Giovannino a far da guida, la Vergine stanca e a capo chino, il Bambino legato a lei alla maniera contadina e Giuseppe, anziano e un po’ ritardatario. Vero protagonista però lo sterminato paesaggio, con una gran quantità di animali selvatici e montagne un po’ “dolomitiche” sullo sfondo, specchio appunto di una terra vagheggiata più che realmente conosciuta.
Secondo una diffusa tradizione, raccolta anche da Josiah Gilbert nel suo “Cadore, terra di Tiziano” del 1869, Tiziano, all’età di trent’anni, avrebbe trascorso ben tre mesi tra i boschi del Cansiglio per studiare uno sfondo che si armonizzasse alla “Fuga in Egitto”.
«Dove avrebbe potuto trovare – si chiede il viaggiatore albionico – l’ombra intensa che egli prediligeva se non fra il denso fogliame nella profondità della foresta, sotto un cielo di nuvole incombenti e solenni? In quali altri luoghi la natura avrebbe potuto offrire a questo poeta del colore tutte le calde sfumature dell’autunno?».
In ragione di siffatta convinzione il buon Gilbert volle di persona costeggiare il lago di S. Croce e raggiungere Farra d’Alpago in una bella giornata d’autunno, per approdare infine all’orlo della grande foresta.
E il risultato fu un’appassionata lezione sull’arte tizianesca, ma pure sulle bellezze del comprensorio e sulla simpatia della sua gente. Emozioni che egli seppe acutamente descrivere con la sua penna e che oggi possono rivivere, almeno per tre mesi, anche ai nostri occhi grazie alla maestria del cadorino.
Un’opportunità unica per il Bellunese, perché – a quanto pare – l’opera poi non si muoverà più dall’Ermitage. Infine un ulteriore, piccolo aggancio cadorino: la mostra è prodotta da Venezia Accademia e Villaggio Globale International, cui è stato affidato il progetto di allestimento interno del restaurato Forte di Monte Ricco a Pieve di Cadore.
Tiziano potrà essere contento che l’avito castello della sua infanzia all’ombra delle Marmarole rivivrà in qualche modo nella rinnovata struttura, voluta per diffondere la storia della sua patria ma anche la grandezza della sua stessa arte.
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