Le accuse a Francesco Crispi l'ultima scintilla
Sostenne che lanciò la terza bomba contro Napoleone III

Un primo piano di Camillo Carlo di Rudio
La vita del conte Carlo Camillo di Rudio fu già talmente ricca di avventure e colpi di scena, che davvero non ci sarebbe stato bisogno, per lui e per noi, di ulteriori coups de foudre. Ma quest'uomo di inesausta vitalità, novello eroe dei due mondi, neppure negli anni della strameritata pensione negli Stati Uniti, quando le memorie, sempre generose e mai lesinate, delle gesta garibaldine e dell'epica giornata di Little Bighorn del giugno 1876 avrebbero dovuto essere di per sé più che sufficienti a far rimanere accese su di lui le luci della ribalta e della fama internazionale, mancò di stupire con un'eclatante novità. Nessuna impresa nuova, sia ben chiaro, quanto piuttosto una "scandalosa" rivelazione riferita alle sue esperienze giovanili. Due anni prima che la morte lo cogliesse a San Francisco il 1º novembre 1910, su un letto sovrastato dai ritratti dei suoi tanto amati compagni d'avventura Pier Fortunato Calvi e Giuseppe Mazzini, il nostro dichiarò allo storico Paolo Mastri, che gli aveva scritto chiedendogli precisazioni sull'attentato a Napoleone III nel 1858, di aver visto personalmente Felice Orsini consegnare una delle sue bombe nientemeno che a Francesco Crispi, futuro capo del Governo italiano. E non solo: sarebbe stato proprio Crispi e non Orsini a lanciare la terza ed ultima bomba contro il corteo imperiale, mentre le altre due erano state lanciate una dallo stesso di Rudio e l'altra da Antonio Gomez. Tutto ciò finì poi nel libro di Cesare Crespi, "Per la libertà. Dalle mie conversazioni col Conte Carlo di Rudio, complice di Felice Orsini" (San Francisco, Canessa Printing, 1913). E' facile comprendere come siffatta esplosiva rivelazione abbia scatenato una furiosa polemica internazionale, sulla quale si buttarono a capofitto giornali italiani e soprattutto francesi. Francesco Crispi, garibaldino certo e simbolo stesso della Sinistra, ma divenuto col passare degli anni sempre più "uomo forte" della politica italiana, tanto da essere considerato precursore di Benito Mussolini, non poteva più controbattere, essendo morto nell'agosto del 1901. C'erano tuttavia i suoi parenti, che cercarono di mettere a tacere tutto, bollando le rivelazioni del di Rudio come fantasie senili, senza peraltro riuscirci del tutto. Va ricordato, infatti, che Crispi era effettivamente a Parigi il giorno dell'attentato e che venne pure lui arrestato e quindi espulso dalla Francia. Tuttavia sul racconto del bellunese affiorarono subito alcune perplessità: descrivendo l'aspetto fisico del Crispi parigino il di Rudio accennò ai suoi grossi baffi, tipici sì dell'età matura dello statista, ma non della giovinezza, quando questi invece portava una folta barba. E un'ulteriore "stranezza" veniva rilevata: a quell'epoca Crispi era ancora politicamente legato a Mazzini, che non condivideva i piani di Orsini, e solo due anni dopo il futuro presidente del consiglio italiano avrebbe lasciato il suo maestro per unirsi a Garibaldi nella spedizione di Sicilia. Questo spiega perché gran parte degli storici contemporanei, tra cui Guido Artom ("Orsini sfida l'ultimo Napoleone", in Storia Illustrata, 1978, nº 250), ritengano poco attendibili le dichiarazioni del di Rudio e assai improbabile una partecipazione all'attentato da parte di Crispi. Certo però che quella inaudita, seppur tardiva, chiamata in causa del grande manovratore della politica italiana nell'ultimo ventennio dell'800 gettò luci inquietanti sulle nostre relazioni diplomatiche con la Francia e sulla stessa partecipazione italiana all'Intesa. Forse meglio veramente che quel racconto fuori tempo massimo dell'eroico conte bellunese sia stato ritenuto fantasia senile, perché altrimenti il Regno sabaudo correva il rischio di farsi la Grande Guerra su altri fronti e con altri alleati per colpa di un bellunese. Davvero troppo, anche per il nostro unico, irripetibile ed immaginifico conte.
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