L’appello del vescovo Andrich: «È un dovere aiutare chi soffre»

Il religioso chiede maggiore disponibilità a banche, imprenditori, politici e anche ai sacerdoti E poi l’invito a non abbandonare il territorio: «Dobbiamo sfruttare le attività legate alla montagna»
Di Martina Reolon
messa giornalisti
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BELLUNO. «Sarebbe bello che questo 1° maggio non fosse solo una giornata di proteste, ma un’occasione per cercare insieme delle vie di uscita, anche più specifiche per una realtà come la nostra e per la gente di montagna».

Il vescovo della diocesi di Belluno-Feltre, monsignor Giuseppe Andrich, non nasconde la preoccupazione per la difficile situazione occupazionale in provincia.

Ma non manca di lanciare delle prospettive di speranza, esortando le persone a dare una nuova visione al mondo e a rendersi disponibili ai cambiamenti.

«Tanto più», sottolinea il vescovo, «che uno degli aspetti che più mi angoscia è il veder crescere in genitori e famiglie la rassegnazione che qui non sia possibile trovare lavoro. Ecco allora che molti giovani», prosegue il presule nel suo discorso, « scelgono di lasciare la provincia, se non addirittura l’Italia. La libertà di trovare il meglio per se stessi è giusta. Ma è necessario anche non dimenticare il legame con la propria terra».

Una terra che, secondo monsignor Andrich, è carica di «dignità e fermenti positivi». «Penso a uomini e donne, anche giovani», evidenzia il vescovo, «che hanno a cuore la nostra montagna e che, per esempio, vorrebbero uno sviluppo dell’agricoltura. La custodia del nostro territorio, non dimentichiamolo, passa per un’economia diversa, che non significa il ritorno alla povertà di un tempo, ma a forme, nuove e antiche insieme, di valorizzazione di quel che abbiamo, con risvolti quindi anche economici».

Insomma, la crisi c’è e non è contingente, bisogna prenderne atto. «Ma non dobbiamo cadere nella disperazione», dice Andrich, pensando anche ai casi di chi si è tolto la vita a causa della mancanza di lavoro. «Il diritto fondamentale al lavoro deve incontrarsi con forme nuove e aperte al futuro».

Detto questo, nel vescovo è ben presente la consapevolezza che nella realtà bellunese il problema delle realtà aziendali in crisi e delle nuove povertà non è di poco conto. «Come vescovi del Triveneto, quando siamo stati a Roma», aggiunge, «abbiamo concordato un documento per il 1° maggio con cui sosteniamo la necessità di essere partecipi di una responsabilità che tutti dovrebbero sentire». «Non basta rilevare che il lavoro manca», continua il vescovo.

«Bisogna in più chiedere l’impegno e la disponibilità di tutti: banche, imprese, politica, sindacati, lo stesso mondo della chiesa tramite i suoi sacerdoti. Ci sono sempre più persone che bussano alle porte delle nostre parrocchie per chiedere sostegno. A livello diocesano portiamo avanti progetti continui. I parroci, di loro iniziativa, raccolgono aiuti per le persone in difficoltà. Ora è nato anche il “Cantiere della provvidenza”, la cooperativa che agisce non solo in un’ottica assistenzialistica, ma di imprenditorialità».

E l’appello del vescovo di Belluno-Feltre è rivolto a far sì che le persone di buona volontà si mobilitino, «tutte», esorta, «perché la mancanza di occupazione è un problema economico, ma anche e soprattutto sociale ed esistenziale. Il lavoro non è solo elemento indispensabile alla sopravvivenza materiale, ma pure espressione di dignità».

Una dignità che, secondo il vescovo, deve essere recuperata. «Pensiamo ai nostri emigranti che si facevano onore all’estero», mette in risalto monsignor Giuseppe Andrich. «“Bl” non indicava solo la provenienza geografica, ma era diventato anche acronimo di “buoni lavoratori”. Tutti insieme facciamo sì che torni a essere così, che ci sia possibilità di lavoro, per i singoli e per le nostre famiglie».

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