Il silenzio della baita presso Misurina dove si rifugia appena può, e dove ha scritto ...
Il silenzio della baita presso Misurina dove si rifugia appena può, e dove ha scritto il libro, dev'essergli sembrato assordante rispetto al frastuono dello tsunami giapponese che si è portato via trentamila persone. Pio d'Emilia, corrispondente da Tokyo per Sky Tg24 e storico collaboratore del Manifesto, è tornato in questi giorni fra le Dolomiti ampezzane anche per presentare al pubblico "Tsunami nucleare. I trenta giorni che sconvolsero il Giappone", editore Il Manifesto. Questa sera a Dobbiaco (Sala degli Specchi del Grand Hotel, ore 21) e domani a Cortina (Cortina Incontra, palaAudi, ore 18), il giornalista-scrittore racconterà il suo tsunami personale, il modo in cui ha vissuto in diretta e nelle settimane successive la catastrofe di Fukushima, le conseguenze ancora in corso eppure ignorate dai media, il cambio di rotta planetario in tema di energia: sempre più lontani dal nucleare. Al telefono da Misurina, ecco Pio d'Emilia.
Un libro sulla tragedia di Fukushima, firmato da uno dei pochissimi giornalisti italiani che erano in prima linea. Possiamo definirlo instant-book o diario di una tragedia non annunciata?
Tutt'e due, direi. Ho riflettuto a lungo su quale forma dare a questa voglia di raccontare in maniera un po' più "raccontata" questa testimonianza. Fino a quel punto, l'avevo fatto in tv per Sky e sulla carta per il Manifesto. Ma un conto è raccontarla quotidianamnete pur con i limiti dell'emergenza, un altro è riflettere ed elaborare gli eventi nelle pagine di un libro. Ci sono stati resoconti tragicomici di giornalisti che hanno inventato senza essere su campo. Là era un'emergenza assoluta, in un paese in cui se non sai la lingua fatichi a muoverti. Il dubbio era se scrivere subito o aspettare di farlo con uno dei grossi editori che me l'avevano offerto. Io, da buon antinuclearista, ho scelto di farlo subito - pur penalizzato dalla mancanza di promozione e pubblicità - con Il Manifesto, per poter uscire prima del referendum sul nucleare. In edicola ha già venduto più di duemila copie. Insomma, un instant book scritto in due settimane ma con il cuore: quello di una persona che ha vissuto trent'anni in Giappone.
Scrive, nel libro, di essersi trovato da solo davanti ai cancelli della centrale di Fukushima due giorni dopo la tragedia: col senno di poi, sana curiosità giornalistica o incoscienza?
Assolutamente sano dovere giornalistico. La curiosità è solo uno degli elementi della nostra professione. Non sono un kamikaze, ero informato ma ho sempre fatto scelte dettate dal senso del dovere legato alla mia professione. Come un medico o un avvocato: lavori che comportano dei rischi.
Una tragedia che continua, nella paura delle conseguenze delle radiazioni nucleari, nell'avvelenamento dell'aria e dell'oceano, del cibo che mangiamo.
I media hanno subito dimenticato, forse anche perché in realtà eravamo soltanto in due, io e l'inviato del Sole 24 Ore, realmente davanti alla centrale di Fukushima e nella zona dello tsunami. Giornali e tv non dicono che la tragedia è ancora in corso, che secondo le previsioni più ottimistiche sarà peggio di Chernobyl quanto a pericolo ecologico e disastro ambientale.
A distanza di cinque mesi, che cosa è cambiato in Giappone? L'ondata antinucleare che dal suo libro risultava ben poca cosa rispetto all'ondata dello tsunami, è rientrata oppure si è allargata?
Non ho dati recentissimi, ma sono certo che si sta espandendo. In Giappone non c'è l'istituto del referendum e quindi è difficile fare percentuali. Fatto sta che il premier Kan venerdì (oggi, ndr) si dimetterà, me lo ha confermato proprio ieri al telefono. E mi ha detto anche di essere favorevole all'introduzione del referendum in Giappone come forma consultiva. Proprio in questi giorni saranno varate tre proposte di legge per una uscita programmata dal nucleare: Kan lo ha posto come condizione per dare le dimissioni.
Uno tsunami anche politico.
Beh, il Giappone quest'anno non ha avuto uno, ma tre tsunami: il terremoto, lo tsunami vero e proprio e poi lo tsumani nucleare. Dai primi due è uscito in maniera straordinaria, con una ricostruzione che in Italia non possiamo nemmeno immaginare, mentre dal terzo non sa come uscire. Ed è un Paese che ha già subito la catastrofe di Hiroshima. Fino a quell'11 marzo del 2011, i giapponesi distinguevano nel loro vocabolario le radiazioni cattive - quelle della bomba atomica - da quelle buone, quelle dell'energia nucleare. Ora esiste solo un termine: contaminazione. Non ci sono più quelle "buone".
Ha voluto regalarci il diario fedele di un viaggio all'inferno, o anche messaggi a chi deve progettare il proprio futuro, politici o cittadini che siano?
Cerco di evitare, per natura, ogni forma di catastrofismo o di talibanismo. Il peggior servizio che quelli di sinistra e gli antinuclearisti possono fare a sé stessi è quello di esagerare. Io ho litigato in diretta tv con il leader di Greenpeace perché esagerava senza essere documentato. Nel libro, mi sono attenuto ai fatti: sono più che sufficienti a convincere che è meglio non correre dietro al nucleare.
Lei dimostra una profonda conoscenza del Giappone, un amore-odio scandito dal ritmo dei terremoti, dalla sveglia "geologica" che sostituisce quella "biologica": come mai ha scelto quel Paese?
Da trent'anni vado e vengo, restandoci lunghi periodi. La prima volta ci andai come avvocato, per studiare la procedura penale giapponese e lì ho incominciato a scrivere articoli sui diritti umani. Diventando giornalista. Ho fatto una lunga parentesi in Sudamerica ma poi ci sono tornato. Fra il '90 e il duemila, ci sono andato anche per conto dell'Ulivo e del governo Prodi, diventando amico dell'attuale premier.
Quando va in giro a presentare il suo libro, la gente le pone domande curiose su Fukushima e sui giapponesi oppure cerca di farsi un'opinione più precisa sull'energia nucleare?
Finora ho trovato reazioni molto serie: la gente ha bisogno di essere informata perché sente molto l'inaffidabità dell'informazione in generale, partendo da quella giapponese. Le domande le ho trovate sempre molto pertinenti, molto serie. Le più comuni? Se ci possono essere delle ricadute in Italia, per quanto riguarda il cibo, ad esempio. E sapere che il Giappone esporta di tutto tranne il pesce, può servire.
Tornerà in Giappone?
Certo, a settembre sarò lì di nuovo a fare il mio lavoro di corrispondente.
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