Giorgia e Stefano, bellunesi in quarantena in California: «Facciamo aperitivi virtuali con i nostri cari»

I due bellunesi raccontano come si vive l’emergenza coronavirus negli States: «Qui le persone non hanno capito, c’è chi gioca a basket al campetto» 

Rancho Santa Margarita – California. Per il pranzo del giorno di Pasqua, nel menu ci sono agnello, e se è californiano invece che dell’Alpago va bene lo stesso, e purè. Perché le tradizioni vanno rispettate, anche se vivi a migliaia di chilometri da casa e se stai affrontando, come tutto il mondo o quasi, l’emergenza coronavirus.

A Rancho Santa Margarita, città di 50 mila abitanti a metà strada tra Los Angeles e San Diego – California, vivono Giorgia Zanon e Stefano Bortoluzzi, bellunesi che lavorano per Oakley, colosso dell’occhiale che fa parte della galassia Luxottica.

Giorgia è negli States da un anno e mezzo e si occupa di sviluppo prodotto, mentre Stefano, dipendente Unicredit che ha preso aspettativa per raggiungere la moglie, lavora in ambito retail. «Questa è la quarta settimana di quarantena. Io lavoro da casa e di fatto non esco mai, tranne che per sgranchirmi un po’ le gambe in giardino» spiega Giorgia. «Comunque, a differenza che in Italia, possiamo uscire e le passeggiate sono consentite, pur con le dovute precauzioni, come il distanziamento sociale fissato a 6 piedi (un metro e ottanta cm circa ndr), e l’uso delle mascherine. Il problema è che trovare le mascherine non è facile. Noi abbiamo chiamato farmacie nel raggio di dieci miglia per riuscire a recuperare qualcosa. Anche trovare gel disinfettante e guanti non è semplice. Nessun problema ora con i prodotti alimentari, dopo che nei primi giorni di quarantena il panico aveva fatto svuotare tutti gli scaffali».

«Orange County, il territorio nel quale è compreso Rancho Santa Margarita, ha circa quattro milioni di abitanti e si sono registrati circa mille casi di positività al Covid-19, con poco meno di venti decessi, quindi la situazione è senza paragone migliore rispetto a New York», aggiunge Stefano. «Il problema comunque c’è, anche se pare che le persone non stiano capendo proprio bene quanto sta accadendo».

La donna fa due esempi: «La passeggiata attorno al lago qui vicino è sempre piena di gente, anche se perlomeno ora hanno istituito il senso unico per evitare lo “scontro”. L’altro giorno poi, non distante da qui, ho visto dei ragazzi che giocavano a basket. Ecco, l’impressione è che la reale portata di quanto sta accadendo sia sottovalutata, e che anche la comunicazione istituzionale non sia puntualissima».

«Ci domandiamo spesso anche che cosa accadrà dei senzatetto e dei tanti che hanno perso il lavoro, visto che qui se perdi il lavoro perdi anche la possibilità di avere l’assicurazione sanitaria» prosegue Giorgia. «Inoltre è da tenere presente che negli Stati Uniti non c’è la cassa integrazione come in Italia anche se ora, vista l’eccezionalità dell’emergenza, dei fondi per il lavoro sono stati stanziati dal governo. Noi due grazie al cielo stiamo bene e abbiamo la fortuna di lavorare per una azienda che mette al centro i propri dipendenti».

Oakley, tra le altre cose, in sinergia con forze dell’ordine e comunità locali, sta sviluppando uno scudo protettivo prodotto in serie che sarà fornito a soccorritori e operatori sanitari in prima linea. «Mai come in questo periodo ci siamo sentiti così italiani e così legati all’Italia», prosegue Stefano. «E la tecnologia ci aiuta a essere più vicini alle nostre famiglie e ai nostri amici. Per sentirci “a casa”, facciamo degli aperitivi o delle cene virtuali in diretta via WhatsApp. Meglio: per loro aperitivo o cena, per noi colazione visto la differenza di nove ore di orario».

«Per Pasqua il menù prevede agnello e purè, ma ci saranno anche i formaggi, le bollicine e il rosso che i nostri amici ci hanno portato quando sono venuti a trovarci a Natale», conclude. «Sì, è proprio il caso di dire, prendendo a prestito un’espressione oggi di moda, che siamo lontani ma allo stesso tempo vicini». —

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