Feltre verso il referendum ma il Trentino non piace

FELTRE. Per colmare il divario tra noi e la Regione a statuto speciale sembra di scontrarsi col paradosso del filosofo Zenone, quello che sosteneva l'impossibilità della molteplicità e del moto, nonostante le apparenze della vita quotidiana. L'operazione voto Feltre-Trentino che ha ottenuto il via libera dal consiglio comunale non senza un certo scetticismo di fondo, è accompagnata da scarsa convinzione, ma porta con sé anche il miraggio di condizioni economiche migliori. Un bacino di voci autorevoli, di politici di lungo corso, imprenditori, dirigenti, sindacalisti si esprime sul palco secessionista con un ventaglio di reazioni. Al di là della petizione firmata da quasi 1.200 persone che ha convinto a lasciare l'ultima parola alle urne, la schiera dei contrari, per diverse ragioni, è la più nutrita tra le correnti che movimentano l'umore della piazza. Il primo a dirsi «molto perplesso» è l'ex sindaco Alberto Brambilla: «Il referendum mi sembra un controsenso, quando l'altro giorno eravamo in prima fila per difendere la Provincia. Penso poi a Lamon che lotta da anni ma i risultati per ora sono negativi. E consideriamo che politicamente non si dà un bel messaggio al bellunese». Sulla stessa linea Benedetto Fiori, presidente del Parco delle Dolomiti: «Siamo bravi a farci male da soli: prima il voto per mantenere la Provincia e dopo qualcuno vuole andare in Trentino o in Friuli. Il ministro che legge queste cose cosa pensa? Avrei fatto un discorso in ambito territoriale complessivo, non si può essere contraddittori». Nel comparto della sanità, il direttore generale dell'Usl 2 Bortolo Simoni fa riferimento a «un settore dove ci proponiamo con attrazione rispetto ad altri in cui c'è fuga. Non credo inoltre che le valli del Trentino abbiano rette di servizi migliori delle nostre, i problemi di perifericità rimarrebbero e non è qualche soldo in più che risolve i problemi. Feltre dovrebbe trovare piuttosto un proprio modo di svilupparsi autonomamente». Sull’identità punta l'ingegner Nino Bonan: «Non c'è alcun motivo storico-culturale che ci colleghi oltre confine, piuttosto ci sono pezzi del Trentino che hanno origini venete. Non si può pensare al referendum solo per un ritorno economico, mineremmo la nostra storia che è più importante. L'impegno dovrebbe essere di rafforzare i valori provinciali senza disgregare il territorio, battendosi per avere stessi diritti e risorse». Quelle che al contrario, Dino Cossalter dell'Appia vede come un miraggio: «Non se ne può più di essere trattati come gente di serie B». Come associazione di categoria «il Trentino sarebbe la soluzione ideale. Dal punto di vista della convenienza non c'è paragone con un'area che ha diverse possibilità economiche e gode di un trattamento di favore, anche dal punto di vista concorrenziale nei nostri confronti. Basterebbe solo una parte di quell'autonomia». Sisto Belli, politico di lungo corso che del tema si è impadronito da tempo, ricorda la contrarietà emersa nel 1946 quando De Gasperi venne a Belluno nel periodo della trattativa con Gruber, ma adesso è tardi e «le divisioni non portano a niente. Belluno può fare da sola, verso l'indipendenza e l'unità della Provincia». Diversamente, il presidente dell’Ascom Franco Debortoli ritiene che «il referendum serva come segnale nei confronti della politica. Un'operazione utile per mantenere la Provincia perché dà forte visibilità a un problema comune. Le due cose non sono in antitesi». Per le parti sindacali, il segretario della Cgil Ludovico Bellini ammonisce: «E' un errore dividersi ancora, con queste fughe in avanti diventa difficile rivendicare la specificità del territorio». Fabio Zuglian della Cisl infine ha «il timore che a fronte di un'autonomia riconosciuta formalmente non si diano le risorse adeguate per le professionalità e le competenze del personale in modo da continuare a mantenere i servizi».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi