Dimissioni volontarie e contratti precari nel Bellunese: il Covid ha cambiato il mercato del lavoro

Gli anni tra il 2020 e il 2022 hanno visto in provincia di Belluno l’affermarsi di due tendenze principali: da un lato l’aumento delle dimissioni di lavoratori da impieghi perlopiù a tempo indeterminato, dall’altro l’incremento di contratti di somministrazione ad appannaggio soprattutto dei giovani. Sono i due fenomeni che l’Ires, l’ente di ricerca veneto, ha analizzato per il congresso della Cgil apertosi ieri a Longarone.
Lo studio parte dal dato demografico della provincia: evidenzia una decrescita importante che dagli attuali 198.676 abitanti del 2022 porterà a raggiungere i 183.777 residenti nel 2042, con una diminuzione del 7,5%, contro una flessione regionale dell’1,9%. «A diminuire saranno soprattutto le fasce attive della popolazione, quelle comprese tra i 15 e i 64 anni (-22%), quelli in grado di lavorare e garantire la tenuta sociale e finanziaria del territorio», ha spiegato Chiara Gargiulo dell’Ires.
Ma è l’analisi del lavoro che dimostra come la pandemia abbia fatto emergere due fenomeni: dimissioni di massa e precarietà di contratti, come precisato da Giulio Botte, tirocinante all’Ires Veneto e studente di Economia a Ca’ Foscari di Venezia. «In base ai dati di Veneto Lavoro abbiamo visto che c’è stata una perdita consistente dei posti di lavoro (4.600) nel periodo tra marzo e aprile 2020, allo scoppio della pandemia, una emorragia che si è fermata grazie al decreto che ha bloccato i licenziamenti», ha spiegato Botte. Qualche posto è stato poi recuperato nell’estate del 2020, portando il gap a -1.525 unità. Poi si è assistito a un congelamento del mercato a cavallo tra il 2020 e il 2021, con un pieno recupero dal secondo trimestre del 2021. quando il dato è tornato ad avere un segno positivo: +2.350.
«Nel mese di marzo del 2020 le cessazioni sono quindi aumentate del 70% e principalmente per le mancate proroghe dei contratti a tempo determinato. Ad essere maggiormente colpito è stato il settore dei servizi. Anche i licenziamenti sono cresciuti, passando da un centinaio del 2019 a quasi 500 nel 2020».
L’indagine Ires evidenzia che a trainare la ripresa nel 2021 sono state le assunzioni tramite somministrazione, cioè contratti a termine. «Questo significa che la ripresa si è sviluppata nel segno della precarietà e a farne le spese sono stati soprattutto i giovani che sono stati interessati da questi contratti».
Nel 2021 i contratti di somministrazione hanno interessato per il 50,2% l’industria: in poche parole, un contratto su due era di somministrazione e per il 23% era riservato ai giovani e a figure di operai specializzati e semi specializzati.
Parallelamente si è registrato il fenomeno delle dimissioni, che hanno avuto un’impennata nel 2021, raggiungendo quota 525 tra settembre e ottobre. «Dimissioni che hanno interessato soprattutto le persone con contratti a tempo indeterminato e in modo particolare le donne», ha ribadito Botte, che ha concluso l’intervento precisando che nei prossimi mesi lo studio continuerà per capire anche dove si sono ricollocati i dimessi, in quale settore e in quale parte del territorio.
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