Chef Casanova: «In cucina racconto la mia vita»

«DOpo 21 anni di vita da cuoco riesco a immaginare un piatto, il suo concetto, sentirne gli accostamenti, le consistenze e la sapidità, ancora prima di farlo, ne studio l’architettura e le temperature. Vedere i miei clienti che lo discutono e lo apprezzano mi fa sentire come uno di quegli artisti che studiavo a storia dell’arte».
Paolo Casanova, di Campolongo di Cadore, classe 1981, racconta così la sua passione trasformata in lavoro. Da due anni vive a in Svizzera a Madulain, a otto km da Sankt Moritz, dove gestisce il suo ristorante, che si chiama Chesa Stüva Colani (www. hotelchesacolani. com) insieme alla moglie Stella Guarnieri. I due hanno un bambino, Aaron, di 3 anni e mezzo.
E di esperienze ne ha fatte molte, ecco quelle che lui definisce “le più significative: Osteria La Francescana, chef Massimo Bottura; Gambero Rosso, chef Fulvio Pierangelini; Villa Feltrinelli, chef Stefano Baiocco; ristorante Tre Corone di Giovanni Rana come capo pastaio; chef executive della mostra del cinema di Venezia nel 2009 per Nikki beach; apertura Phi Beach Baia Sardinia Costa Azzurra; Executive chef Pescheria da Claudio “Pescheria dei milanesi”; Executive chef Dopolavoro presso Hangar Bicocca; executive chef and project manager per la catena Alghalia in Bahrain; head chef per ristorante Armani di Monaco di Baviera.
Come è avvenuto l’incontro con Bottura?
«Sono stato attratto dalla sua cucina da un articolo di Grand Gourmet del 2003 (quando Bottura non era ancora il Bottura famoso), dove c’era la ricetta della sua lasagna destrutturata con spuma di besciamella, chips di parmigiano etc. etc. Mi aveva rapito così tanto che il giorno dopo non lo chiamai neppure, ma chiesi la macchina a mio padre per andare con il mio curriculum a Modena. Feci il mio colloquio e mi assunse a tempo indeterminato come demi chef de partie».
Quanto sei rimasto?
«Quasi due anni. E lì ho vissuto un’esperienza piena di fermento, studio e crescita personale. Massimo è una bomba di energia che ti contagia e ti motiva con stimoli e visioni. Oltre a essere un grande chef, è una grande persona. Lui per me è stato importante come lo è stato lo staff della Francescana: Beppe Palmieri, Simone Bonelli, Luca Balboni, etc. etc».
Come va il tuo ristorante?
«Cresce ogni giorno di più e la nostra prima preoccupazione è per i nostri clienti. L’ho aperto con mia moglie e tre ragazzi del mio staff; dopo due anni ho otto dipendenti che credono in un progetto e danno il meglio di loro stessi per raggiungere l’anima dei nostri clienti. Cosa si può volere più di questo? ».
Aspiri anche tu alla stella Michelin?
«La Stella Michelin non penso debba essere vissuta come un sogno, altrimenti la si pone già oltre le proprie possibilità; io la vivo come una conseguenza di un buon lavoro a 360°. Se saremo bravi, costanti, innovativi, attenti e sorridenti… chi lo sa! ».
Non sono mancati comunque fino ad oggi i riconoscimenti.
«Abbiamo ricevuto 15 punti nella Gault Millau e sono tra i 10 chef nuove proposte di Svizzera. La Michelin ci ha fatto visita due settimane fa e con molta serietà ci valuterà, non sappiamo ancora nulla, ma come dicevo prima siamo sicuri del nostro impegno. Avere la stella ti può aumentare il numero dei clienti, ma porta ad aumentare lo staff e i costi della cucina in automatico, quindi, o sei veramente bravo e capisci come devi cambiare il tuo ristorante, oppure rischi di chiudere».
Come definisce la sua cucina?
“I miei piatti non appartengono a nessuna tipologia di cucina. La cosa più bella è quella di avere costruito un ristorante che funziona, che riesce a soddisfare le diversissime tipologie di clienti, a pagare gli stipendi regolari, i fornitori...».
Come è iniziata la sua avventura in cucina?
«Sono cresciuto all’interno di un hotel di famiglia, il Villanova di Campolongo di Cadore, dando sempre un aiuto ai miei genitori, Moreno Amelio (1953) e Lucia Bergagnin (1948), asciugando i bicchieri, riordinando i pacchi di pasta nel magazzino. A 14 anni iniziai a fare coppe gelato e lì mi avvicinai al mondo della cucina. Dopo le scuole medie mi sarebbe piaciuto frequentare il liceo artistico, perché la storia dell’arte e l’espressione attraverso la manualità mi sono sempre appartenuti; mi piaceva creare e ricercare la perfezione con maniacalità».
I tuoi ti hanno ispirato?
«Mio padre ha giocato un ruolo importante nella mia decisione di diventare chef, lui mi consigliò di iscrivermi alla scuola alberghiera, dicendomi che non avrei dovuto fare per forza il cuoco, ma mi poteva essere utile saper cucinare e conoscere la teoria della ristorazione. Finita la scuola iniziai a fare il commis di cucina a Cortina dove, dopo mezz’ora, lo chef mi disse che avrei dovuto cambiare lavoro, che non faceva per me. Si chiamava Domenico Mezzaroba ed è ormai scomparso. Era bravissimo, ma stanco e irascibile. Sopportai mesi di insulti e cattiverie gratuite solo per dimostrare a questo omone che io non avevo sbagliato lavoro. Risultato, mi chiese di tornare per la stagione invernale e mi promosse a chef de partie ai primi. Stiamo parlando del 1998, da lì è stato tutto un percorso in salita, dove le nozioni in cucina e le difficoltà si mescolavano alle migliaia di cose che imparavo e vedevo nelle diverse città nelle quali ho vissuto».
Prossimi obiettivi?
«Il mio essere, il mio io, li racconto nel piatto… I clienti scoprono una parte di me ed il mio mondo: lo spirito d’avventura dei mille luoghi da me visitati, la montagna dove sono nato e la mia famiglia. Questa è la mia vita in cucina»
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