Caviola senza negozi dal 1980 ha chiuso una bottega ogni anno

Stillicidio di ricordi sui social di quel che era la frazione C’erano mercerie, hotel e pasticcerie, ora il deserto 

FALCADE

Caviola amarcord, un esercizio commerciale in meno all’anno.

Negli ultimi giorni sulla pagina Facebook del villaggio che fa parte del comune di Falcade, ma che da sempre rivendica una sua identità, si è consumato uno stillicidio di ricordi che certificano come il tessuto commerciale di Caviola si sia ristretto anno dopo anno.

Dal 1980 hanno contato la bellezza di 36 esercizi commerciali in meno. Praticamente uno all’anno. E la paura fa dire che la lista non finirà qui. Il primo dell’elenco (non in ordine di tempo, ma di memoria) è l’hotel Sayonara, che qualche riga sotto fa il paio con l’albergo Azalea e tris con il ristorante alla chiesetta. I bar sono quelli che forse hanno risentito meno della crisi del commercio: hanno chiuso quello del Grigolato, quello del Nani e il bar Bianco (gli ultimi due poi diventati rispettivamente negozio di generi alimentari e di giocattoli: scomparsi pure quelli).

Sono soprattutto dei piccoli negozi e delle botteghe degli artigiani le croci di questo cimitero: l’elettricista del Nani, la profumeria in via Marchiori, le parrucchiere Sara e Gigliola e il parrucchiere Vittorio (poi sostituito dal riparatore Eustacchio e poi chiuso), le mercerie Dosolina in via Marchiori e Maria Bela a fronte dell’attuale bar da Flora, i generi alimentari del Tomaselli Riccardo in piazza Mercato, quello a fianco della Luciana (gestito per alcuni anni da Mariano Restel), quello di Tognetti lungo la statale, il Vegè in piazzetta. E poi la macelleria Soia. L’abbigliamento sportivo poteva contare su Del Din Sport e su Ganz Sport che vendevano tute anche per la neve visto che un po’ più a monte, sul colle della chiesetta, c’erano gli impianti sportivi. Le notizie uscivano dall’edicola della Letizia, le auto venivano riparate all’officina di Sandro Micheluzzi. E mentre i ragazzi passavano un bel po’ di tempo nella sala giochi di via Lungo Tegosa, Milena Valt cuciva e confezionava vestiti, la Luciana li vendeva e poi si potevano abbinare alle scarpe comprate nel secondo negozio dei Costa. Il casaro faceva la “scòta” al caseificio. Il formaggio del posto si poteva gustare abbinato alle pere comprate dal fruttivendolo Bristot davanti alla tv acquistata/riparata nel negozio di Gianmaria Ganz o in quello di elettrodomestici di Della Giacoma. Per rendere meno amaro il quadro sarebbe necessario fare un salto alla pasticceria-gelateria La Fragola che, però, non c’è più. L’estetista nata al suo posto è solo un ritocchino e non basta a cancellare le ferite (gli edifici chiusi) presenti sul territorio e nei ricordi di chi ha commentato su Facebook, dal paese e da fuori. Ricordi tristi di una realtà fiorente che è un po’ appassita, come tante altre nei paesi di montagna. Sarà per questo, perché i ricordi tristi non si vendono, che anche i negozi di souvenir, il Business e il Bosco incantato, hanno chiuso. —

Gianni Santomaso

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