Caporalato, blitz della Finanza a Nordest
Decine di aziende coinvolte in Veneto. La regia del traffico individuata a Pordenone, in Sardegna 13 società fittizie

PORDENONE. Più di mille lavoratori irregolari, 59 indagati e 50 società nel mirino, per un giro di affari milionario legato al caporalato nel settore industriale e manifatturiero, con regia in provincia di Pordenone e diramazioni dalle isole all’Italia settentrionale con molti agganci in Veneto tra le provincie di Padova, Venezia e Treviso. Sono i tratti salienti di “Sardinia job”, l’operazione della Guardia di finanza di Pordenone che ha portato a un sequestro preventivo di immobili e auto di lusso per quasi 4 milioni di euro e all’accertamento di 21 milioni di euro di fatture per operazioni inesistenti. I risultati dell’operazione, partita due anni fa grazie alle segnalazioni antiriciclaggio del sistema bancario, sono stati illustrati ieri mattina in conferenza stampa dal colonnello Stefano Commentucci, comandante provinciale di Pordenone.
Come funzionava.
Le Fiamme gialle ritengono di aver scoperto una attività di intermediazione abusiva di manodopera (gergalmente caporalato), che aveva il suo centro di direzione e controllo nel Pordenonese.
A Olbia e Monti, in provincia di Sassari, invece, avevano sede le tredici società che assumevano formalmente gli operai, impiegati poi in appalti edili e manifatturieri da 37 aziende in dieci province (17 a Treviso, 6 a Venezia, 3 a Vicenza, 3 a Milano, 2 a Bergamo, 3 a Padova, 1 a Brescia, Modena, Pavia, Siracusa). Dai sopralluoghi a Sassari la Finanza ha desunto che tali società erano «meri contenitori di manodopera e non ottemperavano ad alcun obbligo di legge».
Il caporalato.
Soltanto le agenzie interinali possono svolgere tale attività in Italia. Dal 2017 il caporalato non è più un illecito penale, salvo l’aggravante dello sfruttamento in ambito agricolo, ma comporta sanzioni amministrative. La Finanza, però, ipotizza che l’impiego illegale dei lavoratori abbia comportato violazioni delle normative fiscali dalle quali i soggetti coinvolti nella rete hanno tratto vantaggio, a scapito dello Stato e degli stessi operai.
I vertici.
Il pm Federico Facchin ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio per 17 indagati ed è in attesa della fissazione dell’udienza preliminare. La Procura contesta a quattro di loro (Steno Venier, 50 anni, di Spilimbergo, Nadir Ius, 64 anni, di San Martino al Tagliamento, Giovanni Maria e Gabriele Inzaina, 64 e 34 anni, entrambi residenti a Telti, in provincia di Sassari) l’associazione per delinquere finalizzata all’emissione di fatture per operazioni inesistenti a favore di terzi e all’omesso versamento dell’Iva.
I prestanome.
Gli inquirenti ipotizzano che i quattro fossero gli amministratore di fatto delle società cartiere fornitrici di manodopera e che vi abbiano messo alla guida sette prestanome. La Procura li ha individuati in Filippo Mezzapesa, 45 anni, di Spilimbergo, Silvana Sgoifo, 56 anni, di Coseano, Massimo Cervini, 57 anni, di San Vito al Tagliamento, Severina De Marco, 56 anni e Thomas Pistidda, 42 anni, di Fagagna, Christian Pistidda, 46 anni e Stefania Gomboso, 53 anni, di Reana del Rojale. Il pm contesta a sei di loro le ipotesi di reato di omesso versamento dell’Iva ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. Gomboso, invece, è stata indagata solo per quest’ultima fattispecie.
Riciclaggio.
Pende la richiesta di rinvio a giudizio, per riciclaggio, nei confronti di sette persone accusati di aver incassato e trasferito vaglia postali o di essere intestatari di conti o carte prepagate attraverso i quali venivano trasferite ingenti somme di denaro dalle società cartiere al vertice dell’organizzazione. Sotto questo profilo sono stati indagati Marina Zambon, 56 anni, di Aviano, Ingrid Tramontin, 60 anni, di Spilimbergo, Pietro Contessi, 42 anni, di Dignano, Verginia Burlan, 37 anni, di San Giorgio della Richinvelda, Costantin Tatian Lazar, 33 anni, di San Giorgio della Richinvelda e Stefan Trinca, 30 anni di San Martino al Tagliamento. La Finanza ha accertato un riciclaggio di somme di denaro per 691.580 euro.
Altri indagati e sviluppi.
La Procura ha indagato anche 41 rappresentanti legali di aziende che hanno utilizzato la manodopera irregolare per dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti.
Le società che beneficiavano della forza lavoro fornita dall’organizzazione potevano evitare gli oneri previdenziali e assistenziali connessi alla stipula del contratto di lavoro e scaricare poi indebitamente l’Iva. Chiusa l’indagine penale, ora la Finanza di Pordenone vaglia molti altri aspetti. Sono in agenda verifiche negli studi notarili presso i quali sono state costituite le società cartiere con i prestanome.
Il bilancio.
«È stata fondamentale – il commento del colonnello Commentucci – la sinergia investigativa con il pm Facchin, titolare del procedimento, e il procuratore di Pordenone Raffaele Tito, che ci hanno consentito anche di svolgere attività investigativa in Sardegna acquisendo così una visione completa dello schema criminale, difficilmente rilevabile con altre metodologie investigative. Ancora significativa è stata la richiesta e l’emissione di un sequestro preventivo per equivalente da quasi 4 milioni di euro».
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