Alluvione, San Pietro non dimentica
SAN PIETRO. Una giornata nel segno del ricordo e delle emozioni dei testimoni di allora. Con questo spirito il Comune di San Pietro di Cadore ha dedicato la giornata di ieri all’alluvione di 50 anni fa.
Un evento tragico, che ha segnato un’epoca e creato non solo disastri e disagi, ma provocato anche una nuova ondata di emigrazione da parte di chi, a causa di quella improvvisa e violenta piena del fiume Piave, perse il lavoro. Basti pensare che furono 5 le segherie andate completamente distrutte.
Di questo si è parlato ieri a Palazzo Poli De Pol, sede del Comune, in una sala gremita di gente di ogni età, richiamata dal desiderio di ascoltare la storia dalla voce di chi allora c’era. «Ricordare è un dovere - ha sottolineato il sindaco Elisabetta Casanova Borca - per renderci pienamente consapevoli di quanto sia fondamentale tutelare sempre meglio il nostro territorio, oltre che per rendere un doveroso omaggio a chi dopo quel dramma ha contribuito alla ricostruzione».
E l’emozione è emersa pienamente nelle parole di Alberta Zanderigo Rosolo, allora giovane mamma di due bambine e moglie del medico condotto Paolo Zambelli. «Ad un tratto - ha ricordato - vidi una sedia galleggiare sul Piave ed ebbi la certezza che qualcosa di grave era successo. Ero in casa con le mie due bambine, Monica di 21 mesi e Cristina di 4 mesi. Una pioggia torrenziale aveva gonfiato il fiume che con il passare delle ore appariva sempre più minaccioso, violento e terroso. E nell’aria un odore strano. Un odore di pericolo imminente, mai percepito prima. Preludio a nulla di buono. Ora lo so. È l’odore dell’alluvione».
Un’alluvione dagli effetti devastanti, «ma ancor peggio - ha ricordato monsignor Diego Soravia - era stato un anno prima, nel settembre del 1965. Una data che pochi ricordano, ma che fu drammatica. Guardavamo da ragazzi, quasi divertiti, la forza del Piave che trascinava a valle interi alberi con le radici, come se fossero fuscelli. E intere pareti delle case che sprofondavano nelle acque e sembravano sparire nel nulla tanto era la forza dell’acqua che le trascinava a valle».
«Noi perdemmo la nostra segheria che si trovava sulla strada per la Val Visdende - ha ripreso la maestra Bice De Pol - un dramma per tutta la famiglia anche se poi riuscimmo a ripartire, acquistandone una a Cima Gogna, tuttora in attività». E poi ha letto un intenso racconto dell’artista Vico Calabrò, impossibilitato ad essere presente all’incontro, che visse proprio a Presenaio gli attimi terribili dell’alluvione e che ricorda, con una straordinaria vena poetica, due sposini che quel giorno dovevano sposarsi ed invece dovettero rimandare il loro sogno d’amore; una cena fatta di confetti e patate ed un paesano che era riuscito a salvare solo il violino e con quello accompagnò la mesta serata in attesa di un domani incerto.
Dopo l’incontro si è tenuta l’inaugurazione di una bella mostra fotografica, con una settantina di immagini, di proprietà della Regola di Presenaio ed altre della biblioteca comunale. Così drammatiche nel loro bianco e nero fatto di mille sfumature di grigi fra terra, fango, case diroccate e facce stralunate dallo stupore e dal dolore.
Stefano Vietina
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