Funario, addio al Rugby Feltre da libro cuore. «Era una promessa fatta all’amico Totò»
Il tumore sconfitto e la partita giocata con il 25 di Stefani, morto in un incidente. Emozioni a Treviso prima del debutto granata in serie A. «Proprio lì vicino c’era l’ospedale dove mi sono curato da gennaio»

La malattia sconfitta, il dolore per la scomparsa di un compagno di squadra, quell’impegno da mantenere. Francesco Funario non poteva lasciare il rugby giocato prima di mettere piede in campo durante una partita di serie A. Se lo erano promessi lui e Salvatore “Totò” Stefani, poco dopo la promozione in B del 2022.
Totò non ce l’ha fatta, vittima di un drammatico incidente stradale di lì a qualche mese, e dunque ancor di più Francesco si sentiva responsabilizzato a mantenere vivo il ricordo dell’amico. Che domenica era lì virtualmente al suo fianco, rappresentato dalla maglia numero 25 indossata dal classe 1987 nella sfida persa 40-31 sul prato del Tarvisium.
Francesco, una giornata storica.
«Ci eravamo scambiati questa promessa con Totò all’inizio della stagione di serie B. Siccome già pensavo al ritiro, lui mi aveva detto che prima avremmo dovuto disputare assieme una partita in serie A con la maglia del Feltre. Poi a novembre 2022 è avvenuto quel drammatico incidente, ma si dice che ogni promessa sia debito…. Purtroppo nell’autunno 2023 mi sono dovuto fermare causa infortunato al ginocchio, mentre a gennaio dello scorso anno mi è stato diagnosticato un tumore. A ogni modo nel frattempo i miei compagni hanno continuato a inseguire il sogno promozione e quando in estate si è concretizzato il ripescaggio, quasi in concomitanza con la conclusione delle cure, ho domandato a coach Manuel Bergamo e ai miei compagni di poter ricominciare ad allenarmi a settembre per questa prima e ultima presenza in A. Per fortuna erano tutti d’accordo».
La maglia numero 25 sulla schiena.
«Lo dovevo a Totò. Quest’anno ci sono numeri in più essendo possibile portare un maggior numero di giocatori in panchina e io ho domandato ai genitori di Stefani se avessero avuto piacere. Ci tenevo in modo particolare».
Perché l’ultima partita… in trasferta?
«Una serie di coincidenze, se di coincidenze si tratta... Intanto desideravo chiudere il cerchio giocando nella stessa città dell’ospedale dove a gennaio avevo cominciato la partita contro la malattia. Dopo di che, il direttore sportivo del Tarvisium Alberto De Marchi, ex pilone di Benetton e Nazionale, è un mio grande amico, al pari dell’allenatore Riccardo Pavan. E mica è finita qui: al mattino lì era ospitato un concentramento di minirugby e io collaboro qui al Feltre con Lamberto Bonan che si occupa dell’under 10 granata. Senza contare poi che quasi in contemporanea arbitrava la partita under 18 un amico con il quale non riuscivamo a vederci da almeno una quindicina d’anni. Peccato solo non si sia giocato accanto allo stadio della Benetton a Monigo, come inizialmente sembrava. Non avevo mai disputato partite ufficiali lì e lo stesso Tarvisium ha tentato tutto quello che poteva, ma non è stato possibile. In ogni caso, congedarmi in trasferta era anche un modo di portare tanti tifosi feltrini al seguito come in effetti avvenuto».
Essere sportivo aiuta a vincere la sfida contro le malattie, almeno per quanto riguarda lo spirito?
«Ognuno vive queste dinamiche in modo differente. Ma anche durante la chemioterapia mi veniva spiegato che lo spirito con cui ti poni nel superarla, può essere eccome d’aiuto. Io non mi sono mai abbattuto, forte dell’affetto di famiglia, amici, compagni di squadra».
Una vita nel Rugby Feltre.
«Ho iniziato con il calcio, in seguito il maestro Gabriele Gabrielli in uno dei suoi incontri con gli alunni alla scuola media Rocca mi ha convinto a provare. Eravamo io e il mio grande amico Marco Chiea, ma non solo. Così sono entrato in un mondo speciale, grazie al quale ho conosciuto tante persone e soprattutto imparato che il rispetto, in questo sport, non è obbligato ma te lo devi guadagnare. Sia quello dell’avversario sia quello dei compagni di squadra. Comunque sì, sempre la maglia granata addosso, tranne l’ultimo anno di giovanile all’Overmach Parma, assieme a Thomas Bortolot e lo stesso Chiea».
Allenatori del cuore?
«Oltre allo stesso maestro Gabrielli, direi il mio primo Ezio Piolo, poi Alessandro Remonato che era in panchina quando ho debuttato in prima squadra, Andrea Barp e Sabatino Pace, tecnico del Parma».
Quanto sarà dura la A per il Feltre?
«Bè, domenica la prestazione è stata di livello, al di là del finale in cui la loro superiorità ed esperienza è emersa. In ogni caso la squadra imparerà, grazie anche all’assenza di retrocessioni che toglie un po’ di tensione. Quanto a me, qualche corsa con loro la farò ancora. Oltre alla cena del venerdì sera».
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