Mara Baleani, da Ostia al Bellunese con la grande passione per l’atletica

Belluno
Se è vero che, rispetto a territori più popolosi, il movimento bellunese dell’atletica vanta numeri inferiori, è altrettanto vero che la qualità che esprime è di prim’ordine.
E questa constatazione riguarda non solamente gli atleti o i tecnici. Lo conferma il ruolo che riveste negli ultimi anni Mara Baleani.
Romana di Ostia, ma bellunese d’adozione, Mara dal 2013 è giudice internazionale (unica in Italia) di marcia, una delle specialità di maggior tradizione e fascino nel variegato mondo dell’atletica, ancorché di nicchia. Il suo ruolo la ha portata a seguire competizioni in mezzo mondo: dalla Spagna alla Turchia, dalla Svezia alla Cina.
«La marcia? È una passione, nata per caso ma che mi ha fatto scoprire un mondo davvero interessante», dice Mara. E allora, di questo mondo andiamo alla scoperta. Mara, perché la marcia? «La marcia fa parte di un mondo, quello dell’atletica, nel quale vivo fin da piccola. Ho cominciato a fare atletica a sei anni, insieme ai miei fratelli, grazie ai Centri Coni. Di quello di Ostia, la mia città, mia mamma era segreteria. La Pineta di Ostia, poi, ospitava e ospita una struttura multifunzionale da sempre considerato il punto di riferimento per l’atletica leggera: qui si allenavano tanti atleti, anche di livello nazionale. E noi li conoscevamo tutti. Ecco, posso dire di aver respirato l’atletica fin dalla nascita».
Che specialità hai praticato?
«Ho iniziato con il mezzofondo. Poi mi sono dedicata ai lanci perché … facevo meno fatica. Ho vinto un campionato regionale di giavellotto, ma non ero niente di che. Comunque, mi sono divertita tanto. Con l’atletica ho poi smesso per alcuni anni, dopo il matrimonio con Maurizio (Da Rold, ottimo mezzofondista di livello nazionale, scomparso nel 2009, ndr). Mi ci sono riavvicinata quando ho riportato Maurizio nella sua Belluno, trasferendoci qui nel 1985. In maniera più intensa ho ricominciato a vivere l’atletica dopo la nascita di Bellunoatletica, società di cui Maurizio è stato primo presidente. Nel 2000 ho fatto un corso per giudici e qualche tempo dopo mi è stato proposto di fare un corso per giudici regionali di marcia. Lo ho fatto insieme a Nives Arboit, ma senza grandi ambizioni. Sì, diciamo per divertimento».
Un divertimento che però diventato qualche cosa di importante.
«Sì. Il percorso iniziato quasi per scherzo mi ha portato a divenire giudice nazionale nel 2008 e, nel 2013, dopo l’esame in Irlanda, giudice internazionale di livello 2, vale a dire di ambito europeo. La qualifica va rinnovata ogni quattro anni. Nel 2018 ho sostenuto l’esame a Madrid».
Quali sono le competizioni cui sei stata chiamata a lavorare?
«Ad esempio i campionati europei Under 18 di Tblisi, in Georgia, nel 2016, o quelli Under 23 di Tallinn, in Estonia nel 2015 e quelli di Gävle, in Svezia, nel 2019. Ancora, le gare dello Iaaf World Challenge e, nel 2016, la Coppa del mondo a Roma, come assistente del giudice capo. A volte mi chiamano anche per i campionati nazionali di uno specifico paese: sono stata in Grecia, Spagna, Turchia e Slovacchia. Sono stata chiamata anche per un evento in Cina: era l’agosto del 2019 e sono stata giudice a Qujing: esperienza bellissima, sia per quanto riguarda l’organizzazione di gara sia per quanto riguarda l’ospitalità. Tra i tanti posti visitati la Cina è senza dubbio il paese che mi ha affascinato di più. Ci sarei dovuta andare anche nel 2021 ma ho rinunciato: ancora troppe le incertezze e le complicazioni legate all’emergenza sanitaria».
La marcia è una disciplina complicata.
«Indubbiamente marciare è un gesto innaturale. Un piede deve essere appoggiato a terra in ogni momento, il piede avanzante deve toccare il suolo prima che il piede dietro lo lasci. Deve essere cioè evitata la cosiddetta “sospensione”. La gamba avanzante deve essere tesa – cioè non piegarsi fin al ginocchio – dal momento del primo contatto con il terreno, fino alla posizione verticale. Deve cioè essere evitato il cosiddetto “sbloccaggio”. Sì, la marcia è una disciplina complicata, una disciplina in cui la chiara comprensione della tecnica, oltre alla sua esecuzioni, è fondamentale. Allo stesso tempo è una disciplina affascinante dove entrano in campo coordinazione, costanza, pazienza e dove i miglioramenti si vedono magari a distanza di anni».
Quanti sono e che cosa fanno i giudici?
«Su strada il numero di giudici dipende dal tipo di tracciato: può variare da 6 a 8, più il giudice capo. Su pista, i giudici sono cinque più il giudice capo. Ogni giudice ha il compito di segnalare irregolarità nel gesto atletico dei concorrenti e il suo giudizio è insindacabile. Può effettuare un richiamo, tramite una paletta gialla, segnalando anche la tipologia di infrazione. Ogni giudice può dare un unico richiamo per atleta, nel caso l’infrazione sia vistosa e insistente. C’è poi anche la “proposta di squalifica” o “red card”, che viene data dal giudice nel caso l’infrazione sia vistosa, o l’atleta avesse già ricevuto dallo stesso un richiamo. Tale proposta verrà inviata al giudice capo, che la segnalerà sui tabelloni preposti dove gli atleti potranno controllare il loro stato. Nel caso un atleta riceva tre proposte di squalifica da tre giudici differenti, il giudice capo dovrà segnalare all’atleta, tramite una paletta rossa, la sua squalifica immediata. Tale segnalazione potrà essere fatta anche dopo l’arrivo dell’atleta».
Ti è mai capitato di usare la paletta rossa? C’è qualche episodio particolare nei tuo ricordi?
«Quando svolgo il ruolo di giudice capo la uso. Tra i ricordi, quello della Coppa del mondo a Roma, nel maggio del 2016. Ero assistente del giudice capo e ho dovuto mostrare la paletta rossa ad Eleonora Anna Giorgi a poche decine di metri dall’arrivo delle Terme di Caracalla, mentre si stava giocando la vittoria. Non è stato affatto piacevole squalificare un’azzurra».
Che qualità deve avere un giudice?
«In primis, deve avere occhio. Anche perché nella marcia non esiste il Var che c’è nel calcio né altre prove video: quello che conta è unicamente il giudizio visivo. Un giudice, naturalmente, deve essere giusto ed evitare di essere indulgente con gli atleti di casa, cosa che non sempre avviene. Essere giudice non è semplice: il giudizio, soggettivo – e questo può prestare naturalmente il fianco a critiche – dipende da tanti fattori: dal tipo di percorso dalla luce, dall’interpretazione. Io mi ritengo severa ma, allo stesso tempo, comprensiva: uso preferibilmente la paletta gialla, in modo da avvisare un atleta, cercando di fargli capire che sta sbagliando».
Qual è il rapporto con gli atleti?
«Un bel rapporto. Molti vengono anche a ringraziarti dopo una gara. Un bel rapporto c’è anche con molti tecnici. Credo che la collaborazione tra le varie componenti sia un fattore fondamentale per crescere».
Per il 2021 che gare hai in programma?
«Il 24 gennaio a Ostia dovrebbe esserci il campionato italiano, già in programma per lo scorso 5 dicembre e poi rinviato causa emergenza sanitaria. A marzo sono stata invitata in Turchia per delle gare nazionali e a maggio sono programmati i Campionati europei a squadre a Podebrady, in Repubblica Ceca. Tutto, però, dipenderà dall’andamento della pandemia». —
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