Il portierone Zoff e il tifo per Lauda, Schumi e Vettel

di Pietro Oleotto
Dal povero Alfondo de Portago a Sebastian Vettel, «campione straordinario»: ecco i due nomi che possono fare da parentesi alla passione per i motori di Dino Zoff, portiere, allenatore, commissario tecnico, monumento del nostro calcio che parallelamente ha sempre seguito da tifoso appassionato e competente le gare automibilistiche. Una partita in campo e un Gran premio alla tv o anche solo da divorare nei racconti della carta stampata, perché per lui le domeniche erano un giorno allo stadio, in campo, tra i pali, per fare sognare altri appassionati. Per questo adesso che il pallone è rotolato fuori dalla sua vita lavorativa, la passione di Zoff ha preso il sopravvento. «Sono un teletifoso, adesso per esempio non vedo l’ora di vedere se finalmente nel Bahrain non ci sarà più distacco tra la Ferrari e la Mercedes, ma il mondo dei motori mi ha sempre rapito, fin da ragazzino, perché mi piaceva anche armeggiarci sopra».
Quali sono allora le prime tappe di Zoff tifoso dei motori?
«Ricordo che andavo a vedere, vicino a casa, a Gradisca d’Insonzo, i circuiti riservati alle moto, ma la vera passione era per le macchine, per le corse in salita: la Trieste-Opicina o la Cividale-Castelmonte che erano le classiche del Friuli Venezia Giulia. Poi mi sono spostato e questo virus me lo sono portato dietro, con molto piacere».
Sono gli anni di Mantova.
«La città di Nuvolari. E nei miei ricordi di tifoso c’era l’incidente di Guidizzolo che nel ’57 costò la vita ad Alfonso de Portago e a molti spettatori della Mille miglia, praticamente l’ultima vera Mille miglia. A Mantova non facevi fatica a trovare una persona con la quale parlare di motori di gare. E da là mi spostavo per vedere magari solo le prove della Mille chilometri di Monza. Uno spettacolo».
C’è un flash nella memoria?
«Sì, ricordo l’edizione del 1965 della Prototipi P4, con John Surtees in pista in coppia con Mike Parkes: erano piloti da Formula 1 che amavano anche cimentarsi in gare come la Mille chilometri e interpretavano così anche la mia passione per i motori, a tutto tondo».
Anche per le moto?
«Meno. Mi piace seguire e leggere sul Motomondiale, ma le auto per me sono qualcosa di diverso, tanto che ho avuto e guidato anche delle vetture preparate, l’Abarth 1000, la Giulietta, la Giulia, con le quali mi dilettavo nei momenti di svago. Ho cominciato a Modena,in circuito, negli Anni Sessanta, un po’ come fanno ancora adesso tanti dilettanti che vanno a Vallelunga, pagano la propria sessione di 25 minuti e si divertono con la velocità».
A livello di piloti dove pende Dino Zoff?
«Alcuni li ho conosciuti anche di persona, come Lauda e Regazzoni, a Maranello, nel ’74 quando ero già un giocatore della Juventus. Ma il mio idolo incontrastato è Jim Clark che molti giovani neppure sapranno chi è, visto ha avuto un incidente mortale nel ’68, all’apice della sua carriera».
Riesce a fare una classifica di tutti i tempi?
«Non mi piace farne: penso che ogni pilota sia legato al suo tempo. Perché dopo Clark mi hanno colpito Jackie Stewart, Senna, Schumacher, Vettel ma non riuscirei a metterli in fila per le sensazioni che mi hanno trasmesso».
Siamo scivolati anche con i nomi verso il presente: l’incidenza del mezzo sul risultato è aumentata, si dice.
«Ma c’è sempre stata. Se vuoi vincere devi avere sotto una vettura in grado di garantirti delle prestazioni ad alto livello: questo sport è fatto così, l’abilità umana si combina con la meccanica».
E la tecnologia.
«A livello di Formula 1 devo dire che negli ultimi due anni abbiamo assistito a uno sviluppo esageratamente tecnologico dei motori, una spinta anche regolamentare che ha di fatto estromesso molti team dalla lotta al vertice e quindi impoverito la competizione. Per questo la Ferrari adesso è costretta a rimontare e la mia curiosità, da tifoso, è proprio questa: capire se il distacco è stato annullato».
Pare di capire che Zoff sia ferrarista: è giusto chiamare la Ferrari la Nazionale rossa?
«Credo di sì. Racchiude la passione di noi italiani per la Formula 1 come fanno gli azzurri per il calcio».
La prima vittoria in Malesia ha regalato delle speranze a lunga gittata ai tifosi?
«Ha riacceso l’entusiasmo. Ma adesso bisogna capire come e se sarà possibile operare il sorpasso: penso che se accadrà sarà una questione di tappe, di piccoli miglioramenti Gp dopo Gp».
Anche perché Vettel pare di un’altra pasta rispetto ad Alonso.
«Non sono uno ipercritico nei confronti dello spagnolo. Le difficoltà che sta attraversando sono legate al fatto che è al primo anno con un team: verrà fuori, anche lui è un campione. Certo è, tuttavia, che la Ferrari non ha scelto male con Vettel».
Che pare aver legato subito con l’ambiente.
«È un campione stratosferico. E ha dimostrato di saper vincere ovunque. Vincitore a sorpresa a Monza con la Toro Rosso nel 2008, secondo nel Mondiale con la Red Bull l’anno dopo, iridato per quattro stagioni di fila. Insomma, è ancora giovane ma ha già un curriculum da grande pilota. Ed è uno che sa far crescere la propria vettura».
In poche parole, un’assicurazione per una seconda parte di stagione interessante, quando il Circus della Formula 1 ritornerà nella vecchia e povera Europa che rischia di perdere molti Gp nei prossimi anni, Monza in testa.
«È già successo in Germania, che non se la passa male: al Nuerburgring non si correrà quest’anno. Questione di mercati, di soldi. Di uno sport che non è più strettamente europeo o americano, ma che è diventato globale, attirando tifosi e capitali dal Sudest asiatico. Non mi sorprende che ci possano essere dei cambiamenti. Ma mi dispiacerebbe non vedere più la Formula 1 a Monza, come è stato già per Imola dove era un’autentica festa popolare».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi