Il “Motorcito” Andres Grande, dalla C2 a Belluno a opinionista in Argentina

La storia di Andres Grande, uno dei più forti mai arrivati in provincia. «La partita con il Bassano fu l’apoteosi»

Gianluca Da Poian / BELLUNO

Commentatore televisivo, allenatore nel settore giovanile, marito di Gabriela e papà di Valentino, Michele e Faustina. La vita di Andrés Grande, dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, sta proseguendo a Buenos Aires, nella sua Argentina.

Il legame con l’Italia, e Belluno in particolare, non si è però mai spezzato. Ricordi, emozioni, sensazioni tutt’ora splendide per l’indimenticato “Motorcito”.

Andrés, avremmo voluto parlare solo di calcio in quest’intervista. Però la pandemia Coronavirus diviene giocoforza il primo argomento di qualsiasi discorso. Lì in Argentina qual è la situazione?

«Sapevamo bene cosa stava accadendo in Italia e, poco dopo, in tutta Europa. Così il governo ha deciso alcuni giorni fa di farci restare tutti in casa, almeno sino al 31 marzo. La mia impressione è che siano state scelte le giuste contromisure per arginare al meglio il contagio. Il popolo argentino ha vissuto l’arrivo del Coronavirus con la normale ansia ma anche altrettanta consapevolezza di non poter sgarrare. Occorre tranquillità e rispetto delle regole».

Il calcio, al momento, è fermo.

«Come il sottoscritto. Io sono infatti commentatore televisivo per il canale Tyc Sport delle partite di Primera División, nota anche come Superliga Argentina. La massima serie, insomma. Inoltre sono un allenatore del settore giovanile. Fino allo scorso anno ero negli staff tecnici del Defensa y Justicia, adesso aspetto qualcosa di significativo con la nazionale. Un dialogo che riprenderà la fine dell’emergenza».

Un momento del genere consente di prendere il tempo necessario e tuffarci nei ricordi. Snocciolo alcuni tuoi numeri con la maglia del Belluno: quattro stagioni al Polisportivo, 90 presenze, 10 reti, assist innumerevoli, senza dimenticare la promozione in C2 e la permanenza nei professionisti l’anno dopo. Ancora adesso, se dici Andrés Grande ai tifosi gialloblù, quasi scende la lacrimuccia.

«Belluno è e sarà sempre nel mio cuore, me ne sono innamorato dal primo giorno in cui mi sono traferito lì. La città, la squadra, il pubblico, i compagni, l’anno del trionfo in serie D, il bar da Ciccio, le montagne, il Piave, piazza dei Martiri, piazza Piloni...».

L’ho citata io, l’hai citata tu. Il campionato 2002-2003 fu un film. Sconfitta alla prima giornata, poi un crescendo sino ad un giorno, quel giorno. Penultimo turno, Belluno – Bassano, prima contro seconda, due punti di distacco. 3500 persone allo stadio. Dominio e apoteosi.

«Abbiamo vissuto mesi meravigliosi, conclusi poi nel modo più bello in assoluto. Ma qualsiasi istante vissuto assieme alla squadra fu straordinario. Poteva nevicare, piovere, eppure tutti gli allenamenti li affrontavamo al massimo. Ci accomunava un desiderio fortissima di vittoria, avevamo grande fame. Tutto preciso, tutto perfetto, compreso il risultato conclusivo».

Qualche aneddoto?

«Uno che ricordo perfettamente. Il massaggiatore era Angelo Bresolin. Quando volevamo fare dei trattamenti con lui perché ci sembrava di non essere in forma, estraeva un ferro apposito che teneva sempre tra i suoi attrezzi. La punta però andava parecchio in profondità sul muscolo per essere più efficace. Insomma, si sentiva eccome il dolore... A quel punto chiunque diceva: “Tranquillo Angelo, sto bene non preoccuparti”».

Merito anche del mister Toni Tormen.

«Non gli mancava la grinta. Lui e il professore Modesto Bonan, altro grandissimo, erano i migliori. Tra me e Tormen esisteva il consueto rispetto esistente tra giocatore e allenatore. Col tempo, però, ci siamo avvicinati, dopo avermi inserito pian piano nel calcio italiano fin dal mio arrivo a Belluno. Quando alleno, ricordo ancora molte sue indicazioni».

La sera prima della partita con il Bassano te la ricordi?

«Certo. Mio figlio Valentino aveva quasi un anno e di notte non dormiva niente. Chiesi a Tormen di poter alloggiare nell’albergo dove mangiavamo prima della partita. Permesso accordato, a me e a chiunque volesse evitare distrazioni. Mi sono detto: “Bene Andrés, dai che domani sei al cento per cento”. Risultato? Con tutta quella tensione, avrei dormito forse di più a casa con mio figlio. Ma d’altronde, la partita successiva era piuttosto importante…».

E quel giorno?

«Finisce il pranzo, mister Tormen legge la formazione e dà le proprie indicazioni. Stavamo andando in campo, io ero in macchina con il capitano Roberto Padrin. Ad un certo punto si rivolge verso il sottoscritto, dicendomi: “Guarda Andrés, i grandi giocatori possono sbagliare anche dieci partite, ma quella che conta non la sbagliano”. Gli ho risposto, scherzando: “Grazie Roberto di togliermi la pressione”. Eravamo un gruppo splendido, non a caso molti rapporti sono rimasti intatti nel tempo. Ad esempio, sento spesso Thomas Poletti, con cui ho condiviso pure l’esperienza a Trento. Poi Giuliatto, lo stesso Padrin, Togni…».

Qui in provincia non c’è stato solo il Belluno per te.

«Anche la Plavis fa parte dei miei ricordi. Ho giocato a Santa Giustina nel 2010-2011. Su tutti cito una persona in particolare, ossia Giuseppe Pol, bravissima persona».

Ti lascio fare il saluto conclusivo ai tifosi gialloblù.

«Un super abbraccio, mi hanno fatto sentire sempre il loro affetto. E mando un incoraggiamento a tutti i bellunesi, perché questa situazione difficili passi in fretta». —

Argomenti:andres grande

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi