«Gli hockeysti meno tutelati del calciatori»

Pescosta: «L’ecocardiogramma non è obbligatorio e può scoprire i problemi»
Un controllo medico sportivo
Un controllo medico sportivo
BELLUNO.
Dilettanti allo sbaraglio. La maggior parte degli hockeysti ha anche un lavoro fuori dal ghiaccio, d’accordo. Ma come si fa a non considerarli dei professionisti a tutti gli effetti? Giocano e si allenano a un ritmo vertiginoso, tanto che fanno un po’ sorridere i calciatori di serie A, quando si lamentano del calendario compresso. E allora perché i divi del pallone hanno l’obbligo dell’ecocardiogramma per avere l’idoneità, mentre i discatori possono accontentarsi di un elementare elettrocardiogramma?


E’ tremendo dirlo con il senno del giorno dopo, ma è almeno probabile che il difensore dell’Asiago, Darcy Robinson sarebbe ancora in vita, al massimo in tribuna, se solo si fosse pensato di fargli un esame più approfondito: «Gli hockeisti sono meno tutelati, rispetto ai calciatori, questo è innegabile - attacca
Piero Pescosta
, medico sociale del Belluno calcio e operatore all’Alfa Medica - nonostante tutti i loro impegni, sono assimilati ai dilettanti, pertanto non hanno gli stessi obblighi. Quando la squadra di calcio cittadina era salita in C2, era passata allo status di professionista e avevamo dovuto sottoporre tutti i ragazzi anche all’ecocardiogramma, un esame che consente di avere una visione più completa delle condizioni del cuore. Mi spiego: l’elettrocardiogramma registra su un grafico l’impulso elettrico del battito cardiaco, mentre quest’altro esame dà la possibilità di scorprire se esiste qualche anomalia, perché esamini atri, ventricoli e valvole. Nel mondo dei dilettanti tutto questo non è previsto».


Al massimo è consigliato. ma per avere un certificato d’idoneità sportiva, cosa ci vuole? «Sono sufficienti l’elettrocardiogramma sotto sforzo, con il test dello scalino, o meglio con il tapis roulant o la bicicletta da camera; l’esame spirometrico, che prende in esame le vie respiratorie e quello delle urine. Non serve altro: uno va in campo o, in questo caso, sul ghiaccio».


Possibile che un ragazzone da più di un metro e novanta di statura e cento chili abbondanti di peso possa accasciarsi, come è successo a Darcy Robinson e morire, senza che si riesca a fare molto? «Sono proprio gli atleti che sembrano in piena salute i più a rischio, soprattutto se soffrono di cardiopatia ritmogena. Ma questa patololgia non è facile da individuare con un semoplice elettrocardiogramma: ci vuole qualcosa di più, per intervenire in tempo ed evitare che succeda l’irreparabile».


Molto semplicemente: bisogna che l’atleta venga accuratamente esaminato, anche se è giovane e sembra forte: «L’accuratezza è sempre una diretta conseguenza di chi svolge questi esami. Non ci sono solo io, quando una società ci porta gli atleti per le visite. Non manca mai il cardiologo e tutto quello che serve. Recentemente siamo stati visitati l’Alleghe hockey e abbiamo fatto tutto quello che bisognava fare. A questo punto, bisogna attendere di sapere perché Robinson è morto sul ghiaccio del palazzo di Asiago. Le cause possono essere diverse».

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